Possiamo fare a meno dei prodotti stranieri?

Dall’esotico al controstagione, l’importanza all’interno del reparto ortofrutta è decisiva

Possiamo fare a meno dei prodotti stranieri?

Le recenti rimostranze del mondo agricolo nazionale hanno ridato a voce a agli slogan populisti che invitano i consumatori a boicottare tutti i prodotti di provenienza estera che si trovano nel corso dell’anno nei mercati o nei reparti della Gdo. 

Per carità, siamo tutti d'accordo sul fatto che “Italiano è meglio”, che le nostre produzioni sono eccellenze conosciute in tutto il mondo e che i consumatori le prediligono. Non per nulla, la maggiore parte delle insegne della Gdo nei loro assortimenti danno priorità alle provenienze nostrane come elemento distintivo e di plus verso i propri consumatori. Detto ciò, siamo davvero convinti che potremmo fare a meno dei prodotti stranieri? Non me ne vogliate, ma la risposta è negativa, e vi spiego perché.

In prima battuta, perché alcuni prodotti che non sono coltivati nel nostro Paese sono entrati già da diverso tempo nel nostro paniere quotidiano, come la banana e l’ananas, e lo stesso vale, oramai, per altri prodotti esotici come l’avocado e il mango. Anzi, proprio la diffusione di questi ultimi nelle nostre case, grazie al fascino dell'esotico, offre oggi buone opzioni di coltivazione anche nel nostro paese dove le condizionilo permettono.

Da non sottovalutare, inoltre, l’importanza del prodotto in controstagione, in particolare per la frutta: agrumi, pere, kiwi, uva e frutti di bosco solo per citare i più importanti. Lo stesso vale per la frutta secca, dove la maggior parte del prodotto è importato nonostante gli sforzi compiuti a livello produttivo in Italia.

Facendo anche un rapido conto economico, se eliminassimo dall’assortimento quanto elencato, perderemmo all’interno del reparto un fatturato nell’ordine del 15-20%, difficilmente recuperabile e che provocherebbe, quindi, un ulteriore calo dei consumi di ortofrutta. Mantenere continuità genera fidelizzazione e, numeri alla mano, fa bene ai consumi complessivi delle diverse specie,

Per gli ortaggi il discorso è diverso. Infatti, allo stato attuale, la produzione italiana è disponibile praticamente per 365 giorni all’anno e l’acquisto dall’estero è dettato, in larga parte, da carenze produttive interne e, quindi, dalla mancanza di continuità nelle forniture. Questo innescherebbe una serie di rialzi improvvisi dei prezzi, spesso dettati anche da logiche speculative, difficili da spiegare ai consumatori già alle prese con i problemi economici di altra natura. Pertanto, in queste situazioni sempre più frequenti, è utile l’inserimento di un prodotto estero della stessa qualità, senza problemi di disponibilità, per di più se il prezzo è vantaggioso.

Diverso è il discorso quando, in condizioni normali, si sfrutta il prezzo più basso del prodotto straniero come leva per adeguare le quotazioni di quello italiano. Questa è una pratica deprecabile. Per contenere, se non eliminare queste situazioni, però, dovremmo lavorare tutti per affermare il valore delle nostre produzioni, così che il fattore differenziale prezzo diventi sempre meno importante nelle scelte. Viceversa, divrebbe essere garantito il principio di reciprocità, vale a dire che le garanzie fornite dai nostri prodotti (tracciabilità, molecole utilizzate, ecc.) fossero soddisfatte anche dai prodotti che entrano nel nostro Paese. Differentemente si genera una concorrenza scorretta con grave danno per il cliente finale.

Ad ogni modo, boicottare il prodotto straniero nell’era della globalizzazione è un'operazione di retroguardia, soprattutto per un Paese come l’Italia che produce più ortofrutta di quella che consuma e, perciò, senza export il settore ortofrutticolo sarebbe fortemente ridimensionato. Anzi, lo stimolo della concorrenza sul mercato interno dovrebbe portare a lavorare per aumentare la presenza sui mercati internazionali. La Spagna Docet. (am)

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