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Dubai: grande potenziale per l’ortofrutta italiana
Difficoltà logistiche e concorrenza dall’Asia i maggiori ostacoli
La partecipazione alla fiera internazionale GulFood di Dubai – in cui l'ortofrutta ha però un ruolo marginale – mi ha comunque permesso, da un lato, di incontrare diversi buyer delle principali catene della distribuzione locale, come LuLu, Almaya, Union Coop, Grandiose Supermarket e, dall’altro lato, grazie ad alcuni sopralluoghi a punto vendita, di comprendere le logiche che guidano i reparti ortofrutta a Dubai.
Senza dubbio, la più popolosa città degli Emirati Arabi Uniti rappresenta qualcosa di unico, per vastità del territorio, popolazione in costante crescita (oltre 4 milioni solo a Dubai e altri 6 milioni nell’intera regione) e numerosi turisti che la visitano ogni anno, oltre 15 milioni, che la collocano al 6° posto nel mondo. Un'ascesa favorita dalla sua posizione, che la rende un importante crocevia fra Europa, Asia e Africa, come via di accesso a molti dei mercati emergenti in più rapida crescita al mondo. Siamo di fronte, quindi, a una città dinamica e multiculturale che si sta sviluppando a una velocità incredibile.
Sicuramente è un mercato dalle grandi potenzialità e, in quanto tale, la concorrenza è serrata. Dal punto di vista dell’ortofrutta Made in Italy, la logistica è il primo scoglio per accedere a questo mercato. Via nave ci si impiega mediamente fra i 17-18 giorni di navigazione, a patto che si riesca a passare per il Mar Rosso (operazione non scontata vista l’escalation degli ultimi mesi). L’aereo è senza dubbio il mezzo più veloce (circa 6 ore dall’Italia) ma pure quello più costoso e può avere senso nel caso di prodotti di alta qualità.
Le richieste dei buyer del luogo sono più o meno le stesse degli italiani: buon rapporto qualità prezzo e garanzia dei volumi durante la stagione. Difatti, non c'è da imparare nulla di nuovo, ma la concorrenza dei paesi asiatici sui prodotti più basici è difficile da battere, soprattutto per quanto riguarda il prezzo. Inoltre, la popolazione di Dubai è composta da centinaia di migliaia di lavoratori cinesi, thailandesi, indiani, pakistani che tendono, ovviamente, a prediligere i prodotti del loro paese d’origine.
Per quanto riguarda i negozi, gli assortimenti delle insegne sono clusterizzati in funzione delle dimensioni e, soprattutto, dell'ubicazione dei negozi: lo stesso format, passando da una zona turistica ad una residenziale, viene stravolto. In linea di massima lo spazio dedicato all’ortofrutta è decisamente ampio e si nota una predilezione per il prodotto sfuso, in particolare per la frutta, dove si tende a massificare senza indugi. Gli assortimenti sono ampi e profondi, mentre la qualità dei prodotti spesso non è paragonabile ai nostri standard. Per esempio, la pezzatura dei frutti è decisamente più piccola rispetto alla nostra e, difatti, la scala prezzi non è in funzione del calibro ma in funzion del Paese d’Origine. La linea premium sostanzialmente non esiste, a differenza del prodotto biologico che, viceversa, trova spazi interessanti ed è tutto confezionato.
Passando al murale refrigerato, le numeriche sono decisamente più basse rispetto ai nostri negozi e questo è dovuto in larga parte all’assenza di fornitori per queste referenze a distanze accettabili. Non a caso i diversi buyer sono sensibili a chiunque proponga una soluzione percorribile in tal senso. La comunicazione in reparto, a parte quella per le offerte, è pressoché inesistente; però si nota una certa attenzione ai supporti espositivi, che spesso privilegiano il vimini come materiale, per dare una sensazione di calore.
Senza ombra di dubbio ho trovato una presenza importante di personale all’interno del reparto – evidentemente favorito dal basso costo della manodopera – sempre intento a curare tutti gli aspetti più importanti: dalla pulizia alla cura nell’esposizione, tant’è che è quasi impossibile trovare rotture di stock o prodotti difettati. Sotto questo aspetto siamo letteralmente agli antipodi rispetto all’Italia.
Concludendo, a mio avviso ci sarebbero spazi importanti da riempire per l’ortofrutta italiana che parte da una presenza estremamente ridotta, limitata alla frutta invernale, mele soprattutto. Al di là delle problematiche logistiche, dialogando coi buyer è emerso come il brand “Made in Italy” possa essere sicuramente una carta vincente per conquistare i consumatori, che ne percepiscono il valore in senso assoluto, ma non tanto sull’ortofrutta, perché non è mai stato fatto nulla di impattante a livello promozionale. Ecco, partendo da qui si potrebbero ottenere risultati interessanti e non solo a Dubai.
Ha collaborato Fabrizio Pattuelli