Il meglio di IFN
Agrofarmaci, innovazione bloccata: in UE servono fino a 10 anni per arrivare nei campi
Altrove si corre: in Brasile l’autorizzazione arriva in 24 mesi

Nonostante le continue revoche di principi attivi da parte dell’Unione Europea, il settore italiano degli agrofarmaci continua a registrare numeri in crescita. Secondo quanto emerso nel nuovo report dell’Osservatorio Agrofarma, presentato ieri a margine di una tavola rotonda con esperti e rappresentanti del settore, il fatturato è passato da 850 milioni di euro nel 2018 a oltre un miliardo nel 2023.
Un risultato che si spiega anche con la dinamica dell’offerta: meno prodotti disponibili significano inevitabilmente prezzi più elevati. A questo si aggiungono gli alti costi legati all’immissione in commercio di nuove sostanze attive, aggravati dalla lentezza dei processi autorizzativi.
“Per portare un agrofarmaco sul mercato, anche dopo l’approvazione, possono servire dai tre ai cinque anni – ha spiegato Paolo Tassani, presidente di Agrofarma-Federchimica –. Questo comporta un ritardo nell’arrivo dell’innovazione nei campi italiani, che può superare i dieci anni rispetto ad altri Paesi. In Brasile, per esempio, il tempo medio per l’approvazione di una nuova sostanza è di 18-24 mesi. Il rischio è che altri ci vendano prodotti agricoli più innovativi e sostenibili dei nostri.”
Alla tavola rotonda hanno partecipato anche Paolo Bruni, presidente di CSO Italy, Stefano Boncompagni del Servizio fitosanitario della Regione Emilia-Romagna, la docente Marina Collina dell’Università di Bologna e Ivano Valmori, CEO di Imageline.

Tassani ha poi affrontato il tema della percezione pubblica della chimica. “Siamo in una fase in cui sembra quasi sconsigliabile nominare la parola 'chimica', ma non dobbiamo averne paura. La chimica porta innovazione e migliora concretamente la vita quotidiana. Purtroppo, molte multinazionali stanno spostando il loro interesse verso altri mercati, ma noi continuiamo a investire circa il 3% del fatturato – pari a 30-35 milioni di euro l’anno – in ricerca e sviluppo.”
L’industria italiana degli agrofarmaci si conferma radicata sul territorio, operando nei centri di saggio, nei servizi fitosanitari e nelle aziende agricole. Entro il 2030 si prevedono investimenti per 4 miliardi di euro in prodotti utilizzabili anche in agricoltura biologica.
“Non esiste contrapposizione tra biologico e integrato – ha sottolineato Tassani –. Le due modalità stanno convergendo. L’agricoltura deve proteggere le piante, e le tecniche oggi disponibili servono a ottimizzare l’impiego dei fitofarmaci, i cui volumi per ettaro sono in costante calo. L’obiettivo è investire 10 miliardi di euro entro il 2030 per coniugare efficacia e riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari, che, ricordo, vengono utilizzati perché necessari.”

Bruni: “Senza difesa, la frutticoltura non ha futuro”
Duro l’intervento di Paolo Bruni, presidente di CSO Italy, che ha lanciato un allarme sul futuro della frutticoltura italiana ed europea: “Se non affrontiamo subito il nodo della difesa fitosanitaria, non ci sarà futuro per il comparto.”
I dati sono eloquenti: la produzione ortofrutticola italiana è passata dai 44 milioni di tonnellate degli anni ’80 ai 23,5 milioni previsti per il 2024. Solo nel comparto frutticolo, negli ultimi dieci anni si è scesi da 6 a meno di 4 milioni di tonnellate. “Il cambiamento climatico è evidente: passiamo da siccità estreme ad alluvioni. Ma la politica europea ha lasciato i produttori senza strumenti, riducendo da 1.000 a meno di 300 i principi attivi disponibili. È come togliere il 70% delle medicine: senza alternative valide, non si può pensare di ridurre l’uso della chimica.”
Bruni chiede una risposta rapida e concreta: “Servono soluzioni alternative, uniformità normativa tra i Paesi UE e una corretta informazione ai cittadini sulla centralità dell’agricoltura nella sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Le nuove linee della Commissione europea vanno in questa direzione: ora servono i fatti.”

Digitale in agricoltura: dal 2026 obbligo di Quaderno di Campagna digitale
Un ulteriore fronte di trasformazione è quello del digitale. Ivano Valmori, CEO di Imageline, ha evidenziato come dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore l’obbligo per tutti gli agricoltori di compilare digitalmente il Quaderno di Campagna (QdC), come previsto dal Decreto Legislativo 564 del 2003.
“Si tratta di una svolta epocale – ha sottolineato –. La vera sfida sarà garantire la precisione dei dati raccolti. Senza strumenti informatici adeguati, il rischio è che gli agricoltori possano incorrere in errori che li espongono a responsabilità dirette.”
Fondamentale sarà l’adozione di sistemi digitali integrati con banche dati ufficiali e l’impiego dell’intelligenza artificiale per assicurare la tracciabilità e la conformità dei processi. Una tappa decisiva è arrivata il 14 marzo 2024, quando AGEA ha esteso l’obbligo del QdC digitale anche alla fertilizzazione, all’irrigazione e alla gestione delle abilitazioni. “Finora è mancata una reale integrazione tra oneri normativi e operatività agricola – ha concluso Valmori –. Ma oggi gli strumenti digitali sono più efficaci e accessibili, e il settore si sta rapidamente adeguando.”
