Il meglio di IFN
Sweeta, il marketing che fa il marketing
Il rispetto di tre regole base ha garantito il successo
Spesso la community ortofrutticola ha snobbato il marketing, ritenendolo fonte di costi più che di guadagni. Questa visione è continuamente testimoniata nella modalità di costruzione dei progetti d’innovazione. Le spese di marketing, infatti, sono sempre fra le ultime voci di quasi tutti i business plan che ho avuto modo di visionare in questi anni e, di frequente, le ho viste anche sacrificate quando i conti non tornavano.
Malgrado, sia a livello di ricerca che professionalmente, il marketing sia la mia specializzazione, confesso che diverse volte ho avuto qualche dubbio che la disciplina lanciata da Philip Kotler avesse davvero affinità con frutta e verdura, nonostante sia una delle categorie di punta dei prodotti alimentari e, si sa, il food ha vissuto dal secondo dopoguerra in simbiosi con le strategie di marketing e, spesso, queste– più della tecnica – hanno decretato il successo o l’insuccesso dei prodotti.
Per fortuna, di tanto in tanto, progetti di marketing ben costruiti fugano i miei dubbi e confermano, viceversa, che sono le carenze nell’utilizzo del marketing, spesso per assenza di competenze e progettualità, che inficiano le applicazioni nel settore ortofrutticolo, più che la scarsa funzionalità dello stesso.
È il caso di Sweeta/Pristine, i marchi commerciali dell’uva Blanc Seedless, di cui Polar Fruit è esclusivista a livello mondiale e, dove, in Italia, è licenziataria l’azienda Giuliano Pugliafruit. Nel nostro paese, poi, il prodotto viene venduto al dettaglio in esclusiva da Coop Italia, con il marchio Fiorfiore.
Perché in questo caso il marketing ha fatto il marketing? Perché anziché pensare che il miglior risultato per un costitutore sia produrre e diffondere il maggior numero possibile di piante nel minor tempo possibile, non preoccupandosi troppo di cosa poi succeda a valle, Polar Fruit ha pensato che la prima regola del marketing: ovvero generare domanda per poi soddisfarla, fosse la via da seguire, portando su un orizzonte più lungo - ma più solido - il ritorno dell’investimento.
La seconda regola, poi, mantenere l’offerta in equilibrio con la domanda, può essere soddisfatta solo gestendo l’offerta, da cui la scelta di esclusive nella gestione dei diritti di coltivazione e nei canali di vendita. In un mercato soffocato da eccesso di offerta e scarsa differenziazione della stessa, la scelta si è rivelata vincente perché ha garantito la gestione della redditività superando la concorrenza orizzontale fra produttori e fra retailer. Questa scelta pregiudica lo sviluppo dimensionale? Solo nel breve periodo, perché nel medio lungo periodo l’affermazione del prodotto al consumo consentirà di estendere la copertura senza pregiudicare i margini, forti del trust progressivamente consolidato con i consumatori.
Infine, la terza regola, ma non in ordine di importanza, mantenere la promessa, che può essere garantita solo con organizzazioni coese e con obiettivi comuni. “Questo è certo l’elemento più trasversale a tutto il comparto ortofrutticolo, che soffre tantissimo di mancato rispetto delle promesse e che, attraverso strumenti che riducono la conflittualità interna, potrebbe trovare la chiave di volta, non solo per prodotti top class di nicchia, ma su larga scala, come pere, kiwi e, perché no, pomodori”, ricorda Claudio Mazzini, Responsabile commerciale dei freschissimi di Coop Italia, che ha sposato il progetto sin dalle origini.
Senza correre troppo, incassiamo intanto i buoni risultati dell’esperienza fatta, testimoniati dal rinnovo dell’accordo fra i tre partner fino al 2026, come recentemente annunciato, a cui si è aggiunta l’azienda Novello &C di Mazzarone, a testimoniare le opzioni di espansione del business legato alla risposta della domanda.