Il meglio di IFN
L’idea di alzare i prezzi scuote il mondo dell’ortofrutta
Pro e contro nei tanti commenti all’editoriale di lunedì
Ogni tanto dovrei mordermi la lingua o, meglio, dovrei spegnere il computer, frenando il piacere di trasferire ai lettori le mie riflessioni su come cercare di orientare il settore fuori dal pantano in cui si trova.
Dico questo perché l’articolo sulla necessità di smettere di parlare di “frutta cara” (per leggere l’articolo clicca qui ) ha inaspettatamente ulteriormente movimentato le mie ultime giornate, con mail, messaggi e telefonate, dove ognuno ha legittamamente provato a contribuire a suo modo sul tema. Si è perfino scomodato un vecchio amico, a cui ora fischieranno le orecchie, che non sentivo da un po’ di tempo e che dal suo buen retiro ci ha tenuto a darmi il suo punto di vista su una questione così cruciale.
Quando si parla di prezzi, infatti, il mondo dell’ortofrutta si scuote: se sono troppo bassi per lamentarsi con tutti cercando ristori e, se uno propone di alzarli, da una parte per invitarlo a stare zitto, così da non attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla spinosa questione, dall’altra per incoraggiarlo a proseguire in questa nuova esperienza, anche se non è ben chiaro dove si andrà a parare.
Minimo comun denominatore: l’ortofrutta è diversa e non si possono fare paragoni. Su questo mi permetto un’osservazione: ogni settore ha le sue peculiarità e merita i suoi distinguo ma anziché cercare le differenze sarebbe bene puntare sulle analogie se possono essere utili. Ad esempio, cosa hanno in comune frutta zuccherina, cioccolato fondente e Parmigiano Reggiano? Nulla, a parte la possibilità di costruire una scala di segmentazione percepibile al palato basandosi su un numero: percentuale di zuccheri, percentuale di cacao e durata della stagionatura. Sono parametri assoluti di qualità? No, infatti, in primis la loro gradazione dipende dai gusti, poi da tanti altri fattori; in ogni caso, però, possono aiutare nella scelta: io preferisco meloni con almeno 15 di brix (difficile che siano cattivi a meno che non siamo in corso fermentazioni), cioccolato con l’85% di cacao (oltre mi sembra di sgranocchiare un gessetto) e Parmigiano 30 mesi (amo il sapore deciso e una scagliatura importante). Questi ultimi due prodotti hanno conosciuto una seconda giovinezza con questa nuova segmentazione, per cui viene da chiedersi se non possa funzionare anche per la frutta zuccherina? Io credo di sì ma, obiettate voi, è molto difficile garantire il Brix. Certamente, ma vi invito a parlare con qualche casaro per capire quanto sia difficile portare a 30 mesi la stagionatura del re dei formaggi, eppure oggi fanno a gara a chi è più bravo perché si guadagna di più.
Al di là degli inevitabili differenti punti di vista, desidero comunque ringraziare tutti per i contributi forniti. A questo proposito ho scelto di commentare questa mail che mi è arrivata da una affezionata lettrice, perché ha preso in esame un aspetto spesso sottovalutato, mentre merita – invece - qualche riflessione.
Gentile professore,
leggo sempre con interesse i suoi editoriali e quello di questa mattina con la comparazione acqua in plastica e frutta verdura mi ha particolarmente interessato; non sono d'accordo sulle sue conclusioni ma ammetto che il paragone è centrato e potrebbe aiutarci a fare passi avanti nel mondo della distribuzione.
A mio avviso, il cliente è molto sensibile al prezzo della frutta e verdura perché ogni giorno queste due categorie "dovrebbero" entrare nel suo paniere di spesa e di consumo per il suo benessere e la sua salute.
Se aumenta il prezzo dell'acqua in bottiglia o di una bibita gasata posso comunque rinunciare a questi acquisti: paradossalmente migliorando il mio portafoglio migliorerò anche la mia salute e/o quella dell'ambiente.
Se aumenta il prezzo della frutta e verdura, diminuirò le quantità acquistate o comunque mi sposterò verso categorie con il prezzo al kg più basso, all'università si parlava di elasticità della domanda al prezzo.
Provo a porle alcune domande che forse l'aiuteranno ad approfondire il tema: perché i distributori continuano ad accettare margini sulle acque e in generale sulle bibite zuccherate anche inferiori al 10?
Acqua in bottiglia e bibite zuccherate/gasate sono consumi che non aiutano la salute dei clienti e dell'ambiente e perché invece il reparto ortofrutta ha margini già al netto dell'inevitabile scarto fra i più alti di un supermercato?
Altra domanda: come si costruisce il prezzo di vendita nel reparto frutta e verdura? Quali sono i moltiplicatori che dal prezzo di acquisto mi portano al prezzo di vendita?
Indaghi professore indaghi: sono convinta che nel mondo del supermercato occorrano nuovi equilibri di marginalità e di prezzo se vogliamo spingere i consumi del reparto.
Lei ha dannatamente ragione: dobbiamo imparare a comunicare i valori di frutta e verdura ma occorre anche investire sulla marginalità.
Aiutare il reparto, recuperando risorse oggi spese in acqua in plastica e bibite gasate e zuccherate, diventa una missione per la salute del cliente, per l' ambiente ma anche per il futuro di distributori e produttori.
Cordialmente
Lettera firmata
Gentile Lettrice, il tema della formazione del prezzo è cruciale. Lei ha centrato uno dei punti chiave che dovremmo aver ben presente quando ci approcciamo a segmentare un mercato. Rispondo senza indugio alla sua prima domanda: i distributori si accontentano di bassi margini sulle acque minerali perché hanno ricevuto un compenso anche per l’affitto di spazi di vendita garantiti e, comunque, perché il margine è spostato verso chi ha il rapporto più forte con il cliente finale, vale a dire la marca, e può farlo valere in sede negoziale.
Proprio dall’acqua parto per tentare di descrivere come si dovrebbe formare il prezzo anche per l’ortofrutta: dalla disponibilità a pagare del cliente finale, quella che in gergo di marketing chiamiamo ‘qualità riconosciuta’, non dal costo di produzione più un po’ di margine (se si riesce) come si fa per l’ortofrutta. Per alzare la disponibilità a pagare di solito si usano la marca e la comunicazione. Queste ultime alzano prima la ‘qualità percepita’, in base alla forza della distintività comunicata e, poi, quella ‘riconosciuta’. Più è alta quest’ultima più il produttore aumenta la sua quota di margine sul prezzo finale di vendita lasciando al distributore una quota minore. Mancando in gran parte marca e distintività, per l’ortofrutta la quota più importante del margine resta al distributore ma, senza distintività, il margine è comunque basso per la concorrenza orizzontale fra i distributori stessi che competono sul prezzo di vendita. Da cui miseria e poche soddisfazioni per tutti.