A spasso nella giungla dello 0,99

Dimenticate le norme igienico-sanitarie, sulla qualità commerciale e sulla legislazione fiscale

A spasso nella giungla dello 0,99

Prodotti di qualità scadente, venduti con prezzi aggressivi, spesso violando le norme di commercializzazione e bypassando il sistema fiscale non sono più ammissibili nel settore ortofrutticolo nel 2023. Lo sosteniamo tutti i giorni, ancor di più nell’ultimo periodo, da quando ci siamo interfacciati con due nuovi punti vendita sul percorso della nostra analisi settimanale delle venditte realizzata per il Monitor Ortofrutta. I negozi in questione propongono prodotti dal livello qualitativo a dir poco discutibile (per usare un eufemismo). Ma vediamoli nel dettaglio. 

Incuriositi dalla proposta, caratterizzata da prezzi aggressivi ma con una qualità da rifiuti organici (la classica logica “gran bazar”), che - non si sa come - comunque attrae clientela, abbiamo sia verificato l’esposizione all’esterno del negozio durante la settimana, sia provato ad acquistare all’interno dell’esercizio.

Per quanto riguarda i prodotti in esposizione all’esterno del negozio, quindi i classici prodotti civetta, le foto parlano da sole: banane, melanzane, pomodori, zucchine, meloni, nettarine e albicocche mostrano una qualità inaccettabile, esclusa dalle norme europee per il prodotto destinato al consumo fresco.
Il livello è talmente basso da far passare quasi in secondo piano i cartellini segnaprezzo che, a loro volta, mancano delle informazioni obbligatorie sempre secondo le norme vigenti (categoria, provenienza ecc.). In un negozio, per andare sul sicuro, non erano nemmeno presenti. In merito alla politica commerciale, i vecchi “hard discount” a confronto erano delle boutique. La forbice prezzi va da 0,99 a 1,49 euro/chilo; in un caso il melone era prezzato 2,49 euro/chilo ma, il giorno successivo, il titolare si è immediatamente pentito tanto da tornare al prezzo di 1,49 euro/chilo. A questo punto non restava che provare di acquistare direttamente qualche prodotto. Arrivati alla cassa l’esercente ha battuto (giustamente) la ricevuta fiscale. 

Peccato, però,che fuori dal negozio ci rendiamo conto che l’importo registrato non era 9.50 euro, ovvero quanto pagato, ma solo pari a 10 centesimi, il costo della borsina, con tanto di IVA scorporata!!!!. La situazione cade nel grottesco se si considera che l’agenzia delle entrate è nelle vicinanze.

Qui, come si dice, casca l’asino. È mai possibile che in questi mesi i titolari di queste attività non abbiano ricevuto controlli da un qualsiasi ente proposto a garantire che le norme di commercializzazione (che includono quelle igienico sanitarie) dei prodotti ortofrutticoli vengano rispettate? Presumiamo di no o, che se anche è avvenuto, poi non siano stati ripetuti fino a far chiudere l'attività se non si adeguava alla norme. A quanto pare ciò non è avvenuto, visto e considerato che i fruttivendoli in questione continuano a lavorare alacremente, in barba alle regole.