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Inerbimento su Abate: per contrastare la Maculatura Bruna occorrono approfondimenti
Il progetto Ifasa ha verificato i benefici del trifoglio nell’interfila
L’utilità dell’inerbimento interfilare nei frutteti è fuori discussione, a partire dall’aumento della transabilità del frutteto per le trattrici agricole, soprattutto dopo forti piogge, che rendono, al contrario, i terreni lavorati delle sabbie mobili. Non dimentichiamo i molteplici vantaggi di carattere agronomico (miglioramento drenaggio, fertilità e biodiversità) che di fatto rendono l’inerbimento una pratica consolidata nei frutteti italiani, salvo casi eccezionali.
Uno di questi casi riguarda il contenimento della Maculatura Bruna in quei pereti che presentano infezioni molto gravi, poiché è stato appurato come una attenta lavorazione del terreno abbassi notevolmente l’inoculo. Una sorta di extrema ratio difficilmente replicabile per diversi anni di fila, perché alla lunga si rischia di compromettere le caratteristiche chimico fisiche del suolo, soprattutto se si è obbligati a entrare nel frutteto dopo le continue piogge per effettuare i trattamenti di difesa, come durante questa primavera.
In questo contesto il progetto IFASA - Inerbimento nei Frutteti per l'Aumento della Sostenibilità Aziendale - ha valutato l'effetto dell'inerbimento su fisiologia, patologie e qualità del suolo nel pero, con particolare riferimento alla diffusione della maculatura bruna (Stemphylium vesicarium). Il progetto ha avuto la durata di due anni e, ieri mattina, presso la facoltà di Agraria di Bologna, sono stati presentati i risultati ottenuti.
“Abbiamo confrontato un inerbimento interfilare mirato con trifoglio, con un inerbimento naturale e una tesi lavorata meccanicamente su due impianti di Abate Fétel, allevata in un caso a fusetto e nell’altro nella forma V presso la Fondazione F.lli Navarra”, ha esordito Luigi Manfrini dell’Università di Bologna.
“Nella fattispecie, l’inerbimento controllato si basava su diverse specie di Trifoglio sotterraneo, una leguminosa che si adatta alla coltura in asciutto ed è autoriseminante, quindi non va riseminato ogni anno, ma eventualmente si valuta la risemina dopo un ciclo di tre anni – ha spiegato Emanuele Radicetti, dell’Università di Ferrara, che ha aggiunto: “si nota un effettiva riduzione del compattamento del terreno da parte delle tesi inerbite, oltre ad una maggiore umidità del suolo soprattutto negli strati più superficiali che è un aspetto importante in ottica di risparmio idrico”.
“L’inerbimento con trifoglio ha mostrato un deciso aumento della sostanza organica, sia rispetto al lavorato che all’inerbimento naturale, oltre che a un incremento del contenuto di azoto disponibile per le piante grazie alla capacità azotofissatrice delle radice delle leguminose”, ha specificato Alessandro Zatta, del CRPA (Centro ricerche sulle produzioni animali). “Da notare, inoltre, come nell’inerbimento con trifoglio ci sia comunque una quota di altre essenze, nell’ordine del 30-35%, mentre in quello naturale si è notato una predominanza di graminacee del genere Poa”.
Questo aspetto non è di secondaria importanza, come ha evidenziato Elena Baraldi dell’Università di Bologna: “Lo Stemphylium vesicarium è per buona parte della sua vita un saprofita che colonizza in particolar modo i residui morti della graminacee che si trovano nell’interfila, e da qui si sposta nelle piante di pero. Quindi, nel momento in cui, tramite le lavorazioni, si elimina il suo substrato preferito, che sono le graminacee, si abbassa l’inoculo. Seguendo questo concetto si è cercato di capire cosa succede nel momento in cui l’interfila è ricoperta da leguminose come il trifoglio. Purtroppo, durante la sperimentazione la maculatura Bruna non si è manifestata in modo tale da verificare l’efficacia di questo tipo di inerbimento, per cui è chiaro che serviranno ulteriori approfondimenti, perché è auspicabile trovare alternative alla lavorazione del terreno che sì, abbassa l’inoculo, ma poi ha tante controindicazioni che ne sconsigliano l’utilizzo”.