Il meglio di IFN
Il falso mito del ricarico del 300%. Seconda puntata
Confusione fra costi e margini, il nodo dell’equivoco che fa infuriare i produttori
Ricorderete che ci siamo lasciati ieri chiedendoci perché una mela Golden della Val di Non, per di più DOP, venga pagata al produttore nell’ordine dei 65 centesimi e al consumo si debbano sborsare almeno due euro in un supermercato (Clicca qui per approfondire).
Semplicemente perché il processo dal campo al negozio comporta tanti costi, per lo più incomprimibili, e pochi guadagni per gli attori in gioco che sono, in questo caso, il Consorzio Melinda (che computa solo costi perché, come Consorzio cooperativo, trasferisce tutto il valore generato ai soci produttori) e i suoi clienti della distribuzione moderna, se parliamo di vendita a libero servizio, come nel caso che vi sto rappresentando.
Infatti le mele, una volta raccolte, vengono avviate ai magazzini di selezione e conservazione, dove vien fatta una prima classificazione per qualità (prima, seconda, ecc.), una precalibratura e poi vengono messe in celle frigorifere dove, le ultime vendute, restano anche per 12 mesi per dare continuità all’offerta. Giornalmente, sulla base della domanda, una parte delle mele viene poi selezionata di fino e confezionata per essere spedita ai centri di distribuzione dei retailer. Possiamo considerare che le fasi di classificazione, selezione, conservazione e confezionamento possano costare nell’ordine dei 25 centesimi al kg, a cui va aggiunto il costo della confezione; nel caso della padella per vendita sfusa di cui parlavamo ieri circa 10-15 centesimi al kg. Vanno poi considerati costi commerciali, promozionali e le spese generali, almeno altri 5 centesimi, ma sarebbe meglio qualcosa in più. Il trasporto dalla Val di Non costa da 8-10 centesimi al kg verso il Nord Italia, fino a oltre 20 per la Sicilia, una media di 15 può essere ragionevole. Ecco che un prezzo di cessione alla Gdo dell’ordine dell’1,30 euro al kg + IVA (anche a tutti i dati precedenti va ovviamente aggiunta l’IVA) è la somma del liquidato al produttore (che comprende anche il suo guadagno) più i costi sostenuti (visto che il Consorzio non fa utili per missione). Una forbice fra 1,20 e 1,40 sul mercato, a seconda del momento in cui effettuiamo la misurazione, dipende dalle condizioni dello stesso: più verso il basso se la domanda è debole, mentre si alza se c’è dinamica e l’offerta langue.
Una volta che il prodotto è arrivato al centro di distribuzione subisce un controllo di qualità e poi viene “ventilato”, ovvero tutti i prodotti ortofrutticoli destinati a un singolo negozio vengono preparati e caricati sul vettore che li porterà al punto di vendita. Queste operazioni costano circa 80 centesimi a collo, per cui, considerando 7 kg medi, circa 11-12 centesimi al kg. Una volta raggiunto il punto di vendita, le nostre mele saranno scaricate, esposte sullo scaffale, eliminato via via lo scarto fisiologico e andrà tenuto conto anche del calo peso per evapotraspirazione (modesto per le mele ma importante per gli ortaggi a foglia).
Lo scarto e il calo pesa rappresentano fra lo 0,5 e l’1% del prodotto acquistato, cioè meno di 1 centesimo per la vendita sfusa. La manodopera per la gestione del prodotto pesa invece per 25-30 centesimi al kg, le spese generali della struttura di vendita (ammortamenti e manutenzioni, pulizia, energia, guardiania, ecc.), incidono fra il 5 e il 10% del fatturato del negozio e vanno ripartiti in proporzione delle vendite. Si capisce così, facendo due conti, che vendere nell’intorno dei due euro richiede perizia per non andare in rosso. Infatti, occorre anche considerare che nel prezzo finale l’IVA è inclusa; essendo il 4%, su 2 euro tondi sarebbero altri 8 centesimi da computare. Volete lasciare anche un po’ di margine al distributore? Allora, anche per i più bravi, due euro non bastano più e occorre aggiungere qualche centesimo.
Mi perdonerete se vi ho tediato con tanti numeri e passaggi ma credo che così chiunque possa capire come funziona una delle filiere più semplici dell’ortofrutta. Da questa analisi emerge chiaramente che non vi è nulla di strano se le mele pagate al produttore nell’intorno di 65 centesimi costano anche più di 2 euro sullo scaffale del supermercato. La situazione dipende dalla struttura della filiera. Considerate, infine, che ho descritto la filiera ideale, perché basta muovere qualche passaggio per aumentare i costi. Se, per esempio, non posso utilizzare un flusso logistico teso, magari perché il centro di distribuzione è in una zona poco servita, un passaggio in più per fare groupage può impattare in modo significativo sui costi. Oppure, se ho un negozio piccolo, magari in un’area a traffico limitato, dove possono arrivare solo vettori di piccole dimensioni. Lo stesso vale dalla parte dei produttori, quando sono esplosi i costi energetici o delle materie prime. Spostamenti di 10-15 centesimi in su o in giù nelle filiere reali possono essere all’ordine del giorno.
La domanda però ora è: siamo proprio sicuri di voler spiegare tutto questo a chi acquista? Se nessun altro settore lo fa, ci sarà una ragione? Perchè non si spiega la filiera delle scarpe o degli orologi e, nemmeno, quella dei biscotti? Considerate che ho descritto una filiera semplice, avrei avuto bisogno di un altro articolo per esaminare un prodotto orticolo di un produttore singolo venduto da un fruttivendolo. L’unica differenza, probabilmente, sarebbe che il prezzo pagato al produttore non remunererebbe il suo lavoro malgrado la crescita esponenziale nelle fasi successive. L’anomalia, però, non è la crescita del prezzo ma che non remuneri il produttore.
Nel caso volessimo però seguire questa strada invito tutti a raccontare le cose come stanno, per non produrre un enorme danno di credibilità al comparto, che è l’ultima cosa di cui ha bisogno. Questo non significa che non vi siano fenomeni speculativi, anche gravi per non dire altro, lungo la filiera, ma occorre denunciare i casi anomali, non puntare il dito sul fatto che i prezzi triplichino o quadruplichino dalla produzione al consumo. Questo è normale. Ciò che non va è che si comprima il prezzo pagato al produttore sotto al suo costo, magari per soli 20 centesimi al kg, facendolo soffrire, se non morire, quando un aumento di quella portata al consumo passerebbe inosservato. È questa l’anomalia che va combattuta con ogni mezzo, non altre.