Il meglio di IFN
«Frutta, le varietà nuove devono essere anche buone»
Le considerazioni di due lettori
L’articolo uscito pochi giorni fa (clicca qui per leggerlo) ha stuzzicato l’interesse di diversi nostri lettori che ci hanno dedicato del tempo per scrivere le loro considerazioni. Abbiamo deciso di pubblicare due interventi ad opera del Prof. Daniele Bassi dell’Università di Milano e dell’avvocato Danilo Piscopo in quanto, partendo da due punti di vista diversi – l’uno di un ricercatore nonché genetista fra i più noti in ambito frutticolo italiano, l’altro di un consumatore particolarmente attento – giungono alla stessa conclusione, che potrete leggere nelle righe sottostanti.
Gent.mi
grazie per il Vs reiterato supporto alla frutta 'buona'!
Come ben sappiamo, c'è un grosso lavoro da fare, e riguarda soprattutto l'approccio mentale degli operatori di tutta la filiera: far passare la frutta da specchio delle allodole nel punto vendita, alla sua piena valorizzazione (non appena nutrizionale, ma anche di soddisfazione edonistica).
Per attuare questo 'banale' passaggio serve la logistica (dall'albero allo scaffale) e serve la formazione degli operatori. Il consumatore non ne ha bisogno: se gli offriamo frutta buona, la pagherà per quanto costa e la ricomprerà senza problemi, e senza dover ricorrere alle offerte stracciate: una vera offesa al lavoro dei produttori ed alla intelligenza dei consumatori.
Saluti
Daniele Bassi
Gentilissimo,
volevo complimentarmi per l'articolo e con tutti quelli precedenti con cui Italiafruit sta ponendo l'accento sul "disastro" derivante dall'introduzione di nuove varietà di frutta di cui, a mio modo di vedere, non si avvertiva l'esigenza. Personalmente quest'anno sono caduto nella trappola di farmi affascinare da un cestino di albicocche rosse con il risultato che ho smesso di acquistarle con buona pace per il mercato di quel frutto che per me era uno dei più gustosi ed attesi dell'anno.
L'esperienza negativissima (dure, aspre: immangiabili a soli 5 euro al kg) ha concluso la mia stagione delle albicocche e con me quella di mia madre a cui è capitata la stessa disavventura e di altri amici con cui mi sono confrontato. Il problema è che si tratta di una esperienza negativa che si assomma ad altre, tutte dello stesso tipo.
Chi ha stabilito che le mele debbano essere "croccanti"? io da bambino (ho 56 anni) ero un divoratore di mele. Da qualche anno le snobbo perché a me questi frutti duri e con un sapore asprigno non piacciono. Io le chiamo le mele dello shampoo perchè da ragazzo le mele verdi servivano per i prodotti per lavare i capelli e no certo per la nostra tavola.
Da barese, non posso esimermi di parlare dell'uva da tavola. La fantastica e dolce uva "Italia" ha lasciato spazio alla vittoria, alle uve apirene, belle tonde (e quando mai il chicco d'uva è stato perfettamente rotondo?) a tutto discapito per la dolcezza. Ma così i bambini mangiano l'uva perché è senza semi......a me è stato insegnato a sputare i semini senza storie eppure l'uva la mangio. Mio figlio con o senza semi non la tocca.
Vogliamo parlare delle fragole grandi come pesche? E una volta non si parlava del sapore e profumo intenso delle fragoline di bosco? No! dobbiamo avere fragole insapori da mezzo chilo.
Le vecchie buone susine? le mie gocce d'oro che ti sporcavano ogni volta che le addentavi? mani sporche ma zucchero in bocca. Adesso susine dure come mele da sbucciare col coltello mentre a casa mia le susine le sbucciavo togliendo la buccia con le mani.
Tralascio il commento su peperoni, pomodori e.....ortaggi vari perché la domanda è sempre la stessa: siamo sicuri che le innovazioni varietali portino benefici?
Un cordiale saluto,
Danilo Piscopo
Carissimi lettori,
sono lieto di avervi spronato a inviarci le Vostre considerazioni su di un tema cruciale per il settore ortofrutticolo e che ci permettono di aggiungere ulteriori elementi al dibattito.
L’intervento del Prof. Bassi è ineccepibile e viene confermato, se non rafforzato, dall’intervento dell’Avvocato Piscopo. Rispetto a quest’ultimo intervento, del quale concordo su diversi aspetti ma non tutti, ci sono alcune precisazioni da fare.
In primo luogo, non sono contrario all’introduzione di nuove varietà in senso assoluto, sono contrario all’immissione su mercato di nuove selezioni che non portano nessun beneficio alla filiera e che generano, al contrario, solo confusione tanto in produzione quanto al consumo. Rispetto ai prodotti citati, nelle fragole, per esempio negli ultimi anni sono uscite varietà molto interessanti sotto il profilo gustativo che hanno alzato l’asticella; nelle mele le varietà dolci non mancano (a partire dalla Fuji per finire all’Envy), mentre nell’uva da tavola ci sono varietà seedless che incontrano senza dubbio i gusti del consumatore (per esempio Autumn Crisp). E che dire delle clementine, che in pochi anni hanno letteralmente rubato la scena ai mandarini, sicuramente più profumati ma con troppi semi che non ne favoriscono il consumo.
Di esempi ce ne sarebbero tanti altri, a dimostrazione di come ci sia un miglioramento genetico che può portare realmente dei benefici. Il problema, come sa benissimo il Prof. Bassi, è trovare il giusto mix fra una varietà buona da mangiare e dalle ottime performance agronomiche e di gestione in magazzino. Infatti, una cultivar carente da un lato o dall’altro non ha futuro. In alcuni casi, basterebbe solo qualche piccolo “upgrade” ad una varietà già esistente per rilanciarla. Prendiamo il caso dell’Abate Fétel. In termini di sapore è fra le pere più buone che esistano, il problema è che sta mostrando dei limiti produttivi e di conservazione quasi insormontabili. Se tramite le TEA, fosse possibile risolvere quei difetti che ne complicano così tanto la gestione in campagna ed in magazzino, senza pregiudicarne il sapore, avremmo fatto bingo. Diversamente ogni anno vedremo sul mercato una moltitudine di varietà più o meno fortunate che vedono i consumatori come vittima sacrificale (come accaduto con le albicocche all’avvocato).