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Lavoro agricolo: non possiamo fare a meno degli stranieri e non basta
Da soli valgono il 40% del totale, in larga parte extracomunitari. Che fare?
Il tema della carenza di manodopera nel settore ortofrutticolo rappresenta a tutti gli effetti una emergenza, al pari degli effetti del cambiamento climatico o dell’aumento dei costi di produzione. Da Nord a Sud non c’è azienda che non lamenti forti criticità nel trovare la forza lavoro necessaria a compiere le diverse operazioni colturali durante l’arco dell’anno, a tal punto che diversi imprenditori riducono gli investimenti poiché non c’è abbastanza personale per portare a termine i lavori necessari sulle colture. Una situazione che si è aggravata soprattutto a partire dall’emergenza Covid, quando gli spostamenti da uno Stato all’altro si sono complicati, e non poco.
Un fenomeno complesso, che esamineremo nel dettaglio partendo dai dati disponibili, per fare un quadro realistico della situazione. Da qui approfondiremo i temi più critici, evidenziando le possibili soluzioni da adottare.
I Numeri del lavoro agricolo in Italia
Prima di ricercare quanti operai agricoli ci siano in Italia, è necessario fare un passo indietro e analizzare la numerica delle aziende agricole. Secondo i dati del 7° censimento generale dell’agricoltura, a ottobre 2020 risultavano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole, in calo del 30% rispetto alla rilevazione precedente (datata 2010); ma se guardiamo indietro di 40 anni, le aziende agricole italiane erano oltre 3 milioni. Già questi dati ci fanno capire come sia evoluto in poco tempo il tessuto agricolo italiano, che – contemporaneamente - ha perso forza lavoro a livello familiare, certamente compensata dalla meccanizzazione e dall’adozione di manodopera esterna.
Tuttavia, se prendiamo in considerazione le imprese agricole iscritte alla Camera di Commercio, il dato, aggiornato al 2023, si abbassa a 703.975, in calo del 10% rispetto a 10 anni fa. Queste sono le aziende che ci interessano, perché l’iscrizione al registro delle imprese è obbligatorio per i produttori agricoli che, nell’anno solare precedente, hanno realizzato o, nel caso di inizio attività, prevedono di realizzare, un volume di affari superiore a 7.000 euro. È il caso di ricordare che l’iscrizione ai registri camerali è condizione necessaria per beneficiare dell’esenzione dalle accise sui carburanti agricoli: un privilegio al quale si rinuncia soltanto se la dimensione dell’azienda è estremamente modesta. Pertanto, è possibile ipotizzare che l’agricoltura professionale, quella che impiega il maggior numero di lavoratori, sia attribuibile alle sole aziende registrate alla Camera di Commercio.
Fra queste 700 mila aziende, quelle che occupano operai agricoli dipendenti, secondo i dati Inps, sono pari a 174.636 nel 2022, quindi il 25% del totale, con un decremento del 3,1% rispetto all’anno precedente. Queste aziende hanno assunto nel 2022 1.006.975 di operai, con un decremento pari al 2,5% rispetto al 2021. È evidente come la maggior parte delle aziende agricole italiane non assuma forza lavoro dipendente, avvalendosi magari dell’aiuto dei familiari, che non sono inseriti all’interno di questo conteggio.
Il Sud è l’area geografica che, con il 36%, presenta il maggior numero di lavoratori, seguita dal Nord-est con il 24%, dalle Isole con il 16%, dal Centro con il 13 % e dal Nord-ovest con l’11%. Le regioni in cui si concentra il maggior numero di lavoratori sono la Puglia (16%), la Sicilia (14%), l’Emilia-Romagna (10%) e la Calabria (9%), non a caso 4 delle regioni più importanti a livello ortofrutticolo.
Per quanto riguarda l’età dei lavoratori, più di un terzo ha compiuto almeno 50 anni, mentre il 22% ha meno di 30 anni.
Dal 2017 al 2022 la composizione per genere, con riferimento alle donne è pressoché costante fra il 32 e 34% del totale.
Altri elementi per inquadrare l’argomento ci sono forniti dalla relazione “Mercato del Lavoro agricolo situazione e tendenze”, presentata poco tempo fa da Ersilia di Tullio, Head of Strategic Advisory di Nomisma.
“Il settore agricolo detiene delle peculiarità rispetto agli altri settori economici. In prima battuta il 96% dei dipendenti sono operai, contro una media nazionale del 55%; il contratto a tempo determinato vale per il 90% dei dipendenti agricoli, circa 3 volte superiore alla media nazionale. Tuttavia, un operaio agricolo lavora mediamente 113 giornate all’anno, contro le 219 della media fra i diversi settori economici, a conferma del connotato di stagionalità dell’occupazione agricola che rappresenta un limite, perché senza continuità non c’è attrattività”.
Dalla presentazione, emerge come i settori agricoli che più necessitino di manodopera siano l’Ortoflorovivaismo, il viti-vinicolo e quello orto-frutticolo, assorbendo, rispettivamente, il 26, 19 e 18% della manodopera agricola complessiva. Un punto critico riguarda la formazione: nel 2022, ben il 51% degli operai agricoli non deteneva nessun titolo di studio e il 36% aveva la licenza media. Difatti, come sottolinea Di Tullio “avere una formazione specifica nel mercato del lavoro agricolo non porta alcun vantaggio”.
Decreto flussi: istruzioni per l’uso
L’ultima parte dell’analisi, non poteva non prendere in considerazione i lavoratori stranieri. Secondo il rapporto “Gli operai agricoli in Italia – Anno 2022” redatto dal Crea sulla base dei dati Inps aggiornati, i lavoratori stranieri nel settore agricolo sono stati pari a 362.523 nel 2022 in aumento rispetto al 2021 di poco più di 1.000 unità, quando erano 361.357; difatti si tratta di circa 36% del totale. Di questi il 70% sono extracomunitari ed il restante 30% sono lavoratori comunitari, un gap che fino a 10 anni fa non esisteva in quanto i due “schieramenti” si equivalevano, ma poi è venuta a mancare buona parte dell’Est Europa che è stata rimpiazzata dagli extra comunitari. Entrando nel dettaglio delle nazionalità, fra i comunitari prevale nettamente la Romania, con oltre il 70% del totale, mentre fra gli extracomunitari non c’è una netta prevalenza ma ci sono 3 paesi appaiati fra il 15 e 17%, ovvero, Marocco, Albania e India.
È chiara ed evidente, quindi, l’importanza della manodopera straniera, extracomunitaria in primis, per il settore agricolo italiano. A tal proposito, è bene ricordare che nel nostro Paese l’ingresso di forza lavoro straniera stagionale, non è libera, ma è soggetta a quote determinate di anno in anno grazie all’ormai noto “Decreto Flussi”.
A livello operativo, le aziende interessate devono presentare domande di ingresso e di assunzione di lavoratori stranieri in Italia durante i famigerati Click Day, su cui non mancano le polemiche: “Le domande sono ben al di sopra della disponibilità”, spiega a IFN Antonio Leonetti, avvocato specializzato in politiche migratorie, che quotidianamente gestisce le pratiche legate al decreto flussi in tutta Italia. “Infatti, a oggi, in Italia sono 609 mila le domande di nulla osta presentate a dicembre, a fronte di 136 mila ingressi autorizzati a livello nazionale per il 2023,, che aumenteranno a 151 mila unità per il 2024 e 165 mila per il 2025. Una differenza importante fra domande e offerta, alla quale si aggiungono tutte le complicazioni burocratiche del caso. Infatti, è notizia delle ultime settimane, lo slittamento di un mese del prossimo click Day, che non è una questione di poco conto, perché dalla presentazione della domanda possono passare altri 60 giorni per avere l’esito definitivo: occorrono 30 giorni di verifica da parte dello Stato e, una volta ottenuto il via libera, possono passarne altri 30 per adempire a tutte le pratiche con il consolato di riferimento.”
Un sistema farraginoso, che non è comune a tutti gli Stati Europei: “Per esempio in Polonia non ci sono quote e basta presentare la domanda quando si ha necessità, ed in breve tempo si trova la quadra.”
“Da noi, invece, già l’iter di per sé è complesso, a cui si aggiunge una scarsa programmazione tipica del settore agricolo, dove l’imprenditore è abituato a reperire la manodopera di volta in volta, in funzione delle esigenze contingenti. Occorre, invece, dialogare fra le aziende per progettare un sistema, calato nelle diverse realtà, che consenta di stabilire un rapporto continuativo con la manodopera che entra dall’estero. Servono, quindi, politiche del lavoro che affrontino questi problemi nell’ottica di rispondere con efficacia alle esigenze del settore agricolo”.
Le buone pratiche e lo sviluppo tecnologico
In effetti, in quegli areali, come il Trentino, dove le istituzioni locali hanno affrontato il tema con grande concretezza costruendo un quadro normativo all’avanguardia, reso efficace dagli enti preposti sul territorio, i risultati si vedono. Senza entrare nei tecnicismi, basti pensare che in tutta la provincia di Trento sono dislocati sportelli, i cosiddetti Cinformi - Centri informativi per l’immigrazione - associazioni costituite sia da soggetti pubblici (Servizio per le politiche sociali della Provincia Autonoma di Trento) che privati, che facilitano l’accesso dei cittadini stranieri ai servizi pubblici e offrono informazioni e consulenza sulle modalità di ingresso e soggiorno in Italia nonché supporto linguistico e culturale. Attualmente il sistema di inserimento appare piuttosto ben regolato. Per esempio, a Cles - il principale centro della Val di Non - dove si concentrano sino a 4.500 stranieri stagionali, uno “sportello mobile” del Cinformi agevola gli adempimenti burocratici di datori di lavoro e raccoglitori presso l’Ufficio postale.
Chiaramente, la soluzione auspicata da più parti riguarda la sostituzione della manodopera con la tecnologia, in particolare quella robotica. Sicuramente in questo ambito si stanno compiendo dei passi da gigante, ma occorreranno ancora diversi anni prima che possa diventare una soluzione praticabile sia a livello operativo che economico nel settore ortofrutticolo. E, comunque, un elevato livello tecnologico presuppone manodopera altamente specializzata in grado di essere utilizzata allo scopo. Già riuscire a farsi trovare pronti di fronte a questa sfida sarebbe un grande successo, ma questo è solo la punta dell’iceberg.
Nel breve e medio periodo se non si affronta il tema del lavoro agricolo con una impostazione strategica, piuttosto che tattica, non si andrà molto lontano. Infatti, al di là del decreto flussi, occorre rivedere tutta la gestione dei lavoratori in agricoltura a partire dall’incontro fra domanda e offerta (i centri per l’impiego sono sostanzialmente inutili) e dalla garanzia di continuità del lavoro durante l’arco dell’anno. Se non si affrontano questi problemi i settori a più alta richiesta di manodopera rischiano il collasso. (gc)
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