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Ortofrutta "buona" in gdo: è caccia al tesoro
Si amplia la gamma premium ma la quota sulle vendite è ancora risibile
Uno dei luoghi comuni più in voga nel nostro settore è che nella GDO, salvo eccezioni, sia difficile trovare frutta e verdura “buona” da mangiare. A dire il vero il sentiment trova riscontro anche fra i consumatori, poiché, secondo le ricerche del Monitor Ortofrutta di Agroter su 3.000 responsabili acquisto, ben sei intervistati su dieci ritengono che non ci sia una stretta correlazione fra qualità e prezzi nei prodotti ortofrutticoli venduti nei supermercati. Allo stesso tempo, fra i motivi più citati che guidano i nostri connazionali a cambiare proprio il luogo d’acquisto, ci sono la ricerca della qualità e della freschezza, mentre il cambio di negozio per ragioni legate a prezzi bassi e offerte registrano quote decisamente inferiori.
Quindi siamo di fronte ad un consumatore disilluso, che spesso non vede una correlazione fra qualità e prezzo proposti e solo per motivi legati alla comodità non cambia negozio; per cui di certo non è spronato a comprare, se ha la convinzione che il prodotto che acquista non sia di qualità garantita. Non a caso, il 75% degli interpellati non ha dubbi a sostenere che la bontà di frutta e verdura sia più importante del prezzo (su un campione di 32 prodotti), valore che supera l’80% per alcuni referenze particolarmente “critiche” come fragole e pesche. Addirittura, oltre un terzo degli intervistati è disposto a spendere ben il 50% in più, a fronte della garanzia di un frutto buono e saporito.
Insomma, i dati parlano chiaro ed ignorarli non è certamente una strategia lungimirante tanto per i produttori quanto per i distributori. In effetti qualcosa si sta muovendo. Per esempio, negli ultimi anni è un fiorire di PPL – Premium private label – non solo fra i supermercati ma pure all’interno dei discount (clicca qui per approfondire).
Un’evoluzione che sta portando alcune catene a dedicargli spazi appositi all’interno del reparto, come nel caso di Esselunga (clicca qui per approfondire), a dimostrazione dell’interesse per questo segmento. Per alcune categorie abbiamo già assistito a una svolta, come nel caso dell’uva da tavola senza semi, dove alcune nuove varietà (vedi Pristine o Autumn Crisp) - veramente buone da mangiare - sono state giustamente valorizzate dai distributori. Lo stesso vale per il kiwi giallo, per l’esotico via aerea, per le mele club, senza dimenticare le innovazioni in fase di lancio (vedi Ondine) o in consolidamento (come Metis). Difatti, gli esempi non mancano e si nota una certa propositività dalla produzione.
Il punto è che è ancora troppo poco. In un reparto ortofrutta di un classico supermercato di 1.500 metri di superficie, con circa 150-200 referenze di 1° gamma, la quota numerica dei prodotti premium non raggiunge il 10%, e, dalle nostre prime analisi macro, il segmento d’alta gamma non raggiunge il 5% delle vendite complessive a valore dell’intero reparto Ortofrutta, essendo concentrato su referenze di nicchia. Non dico che siamo ai livelli della caccia al tesoro, ma poco ci manca. È chiaro ed evidente che questo gap deve essere recuperato iniziando a mettere mano su quelle categorie, vedi pesche e nettarine, ancora critiche sotto questo punto vista.