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Il Prof. Bassi sul proliferare delle varietà
I criteri e le modalità di diffusione sono il nodo della questione
Caro Roberto,
come non condividere le tue amare, ma molto realistiche, riflessioni sulla crisi dell'ortofrutta! (Clicca qui per approfondire)
Permettimi solo un commento su uno dei possibili effetti che tu elenchi, cioè il 'blocco degli investimenti sulle nuove varietà' (che sarebbero troppe: tu ti riferisci al melo, ma questo riguarda TUTTE le specie).
Perché il vero problema non è che le varietà sono troppe, bensì che non ci sono CRITERI per decidere della loro diffusione, per cui tutto viene rovesciato sul consumatore, oltre tutto senza che nessuno chieda il suo parere preventivo.
Essendoci molti interessi in gioco, nessuno si prende il lusso (perché questo richiede tempo, quindi denaro) di valutare TUTTI i pro e i contro nella diffusione di nuove varietà (e che non riguardano solo il consumatore).
Tra i criteri per la concessione della privativa comunitaria (per proteggere i diritti di diffusione delle novità varietali), la UE utilizza il criterio della 'valore colturale'. In pratica: la nuova varietà di cui si chiede la protezione, oltre ad essere distinta geneticamente, deve rappresentare una vera novità dal punto di vista del suo utilizzo finale. Questo per evitare la diffusione di varietà 'fotocopia', come tu lamenti: peccato però che questo criterio NON venga applicato ai fruttiferi!
Non si può arrestare la ricerca, ma occorre invece stabilire i criteri per la diffusione di ciò che la ricerca ottiene, questo è il vero problema: e chi è senza peccato, scagli la prima pietra!
Un caro saluto
Daniele Bassi
Università di Milano
Caro Daniele,
concordo pienamente con la tua analisi visto che, riguardo al possibile ridimensionamento della ricerca varietale, ho scritto che potrebbe avvenire “a seguito delle modalità di applicazione delle potenziali innovazioni che sono state sviluppate nel corso del tempo”. Spesso, per esempio, si è confusa l’innovazione per il produttore con quella per il consumatore. Produttività, resistenza, adattabilità, conservabilità sono importati elementi per il produttore ma andrebbe misurato cosa produce il miglioramento di questi parametri sulle caratteristiche al consumo delle nuove varietà, quanto queste sono distintive e, soprattutto, distinguibili per l’utente finale. Infine, i classici parametri di segmentazione dell’industria alimentare, vale a dire occasione di consumo e funzione d’uso, sono rimaste quasi sempre nel cassetto dei sogni. Pensiamo alla snackizzazione della mela non solo sulle dimensioni ma anche sulla eliminazione dei semi. Manca poi, come anche tu lamenti, la cultura del tempo: si temporeggia quando si deve modificare il percorso perché emergono errori d’impostazione ma si accelera senza prudenza quando si deve lanciare un prodotto senza attendere i necessari feed back. L’applicazione dell’innovazione nell’industria alimentare è oramai codificata in dettaglio e con soddisfazione, chissà che non si cominci a farlo anche per l’ortofrutta. Hai ragione, il problema non è quanto produce la ricerca ma come lo si flitra per immetterlo sul mercato. Temo, però, che - come ho scritto - la terapia all'eccesso di proposizione al consumo coinvolgerà anche l'incolpevole primo anello della supply chain.
Un caro saluto
Roberto
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