Il meglio di IFN
Dai Forconi… alle farfalle, il passo è breve
Nonostante le proteste, l’Europa tira dritto con la sua politica "green"
“È tutto e il contrario di tutto”, “politica europea schizofrenica e bipolare”, sono questi alcuni dei commenti letti in merito all’ultimo provvedimento deliberato ieri in sede europea sul “ripristino della natura”: Regolamento dal carattere spiccatamente “green”, è stato visto come una sorta di tradimento da parte del mondo agricolo, dopo un inizio settimana che era parso all'insegna dei buoni propositi da parte della politica europea. Che sia la nuova miccia per ri-accendere le proteste? Staremo a vedere, ma cerchiamo di mettere in ordine i pezzi del puzzle.
Entra in scena la legge sul ripristino della natura
Lunedì, in una Bruxelles letteralmente infiammata dalle proteste degli agricoltori, il Consiglio europeo dei ministri dell'Agricoltura ha cercato di fornire delle risposte ad un settore in protesta da più di un mese. Per ora, però, siamo fermi alle buone intenzioni, da confermare al Consiglio Europeo di marzo (clicca qui per approfondire).
Il giorno dopo, invece, il Parlamento Europeo è passato ai fatti approvando il Regolamento sul ripristino della natura, il cosiddetto Nature restoration law, che prevede il ripristino, entro il 2030, del buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dalla nuova legge (che vanno da foreste, a praterie e zone umide, per finire a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050 (clicca qui per approfondire).
Chiaramente, anche il settore agricolo dovrà fornire il suo contributo, in particolare per quanto riguarda il miglioramento della biodiversità degli “ecosistemi agricoli”.
L’approccio ricorda molto quello del Farm to Fork, ovvero introdurre un obiettivo ambizioso a pochi anni, senza però spiegare come raggiungerlo. D’altronde, lo stesso eurodeputato Paolo De Castro, nell'intervista concessa al nostro giornale due giorni fa ci aveva spiegato che “l’agricoltura ha riacquisito una sua centralità ma il Green Deal, la transizione ecologica, continuerà ad essere centrale” (clicca qui per approfondire), ma non ci si aspettava una risposta così netta (o chi sapeva è caduto dalla nuvole), a maggiore ragione in questo momento particolarmente caldo sul fronte delle proteste agricole.
Evidentemente occorreva dare una risposta anche agli elettori ambientalisti e, in effetti, la norma è stata fortemente voluta dai Verdi, mentre il Ppe (il partito della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen) ha votato contro.
La bocciatura al provvedimento unisce (una volta tanto) le principali associazioni agricole italiane: Coldiretti, Confagricoltura e Cia, che denunciano come il Nature restoration law, sia “una legge senza logica, che mette a serio rischio le potenzialità produttive del settore agricolo, oltre ad aggiungere ulteriori oneri”.
Ma che cosa c’è di così preoccupante per l’agricoltura nel provvedimento?
Per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, i paesi dell'Ue dovranno registrare progressi in due di questi tre indicatori: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità nei terreni agricoli (ad esempio siepi, fasce fiorite, terreni a riposo, stagni e alberi da frutto); stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati.
Per comprendere meglio la logica del provvedimento abbiamo consultato il sito del Consiglio europeo (clicca qui per approfondire), dove si possono trovare alcuni approfondimenti. Il primo concetto è semplice: “la produttività agricola dipende da ecosistemi sani”. Infatti: “Il suolo impoverito e gli ecosistemi agricoli degradati hanno una capacità più limitata di produrre alimenti. Oggi il degrado del suolo interessa fino al 73% dei terreni agricoli.”
Quindi, il rafforzamento della biodiversità negli ecosistemi agricoli è una sorta di strada maestra da percorrere per sostenere la produttività. In particolare, occorre ripristinare e aumentare le popolazioni di farfalle comuni e dell’avifauna nell'habitat agricolo, dato che gli uccelli sono un buon indicatore dello stato di salute generale della biodiversità.
Già in merito all’avifauna immagino le proteste di tutti quei frutticoltori che stanno subendo danni ingenti alla produzione a causa dei corvidi (gazze e ghiandaie in primis).
Ad ogni modo, nel documento si pone particolare enfasi alle farfalle, poiché dal 1991 al 2020 quasi il 30% delle farfalle comuni è andato perduto. Inoltre, “occorre aumentare la sostenibilità dell'agricoltura al fine di garantire la produzione alimentare a medio e lungo termine. Ad esempio, l'uso di metodi naturali di controllo degli organismi nocivi e la riduzione della dipendenza dai fertilizzanti chimici accrescono la ricchezza dei nutrienti dei suoli e migliorano la salute degli ecosistemi.”
In pratica, ritorna il tema della riduzione della chimica tanto decantato nel Farm to Fork, ma vorrei porre l’attenzione sulla “new entry” delle farfalle.
Chi si occupa di agricoltura sa benissimo che la farfalla è lo stadio adulto di insetti dell’ordine dei lepidotteri, che al suo interno conta diversi “nemici” per le produzioni agricole (ad esempio la carpocapsa del melo piuttosto che la tignola del pesco). Proprio la cattura delle farfalle di una determinata specie di lepidotteri parassiti è il primo indice per capire il grado di infestazione all’interno dell’appezzamento: se sono troppe, si prendono le dovute contromisure. D’ora in avanti sarà il contrario? Ovvero se sono poche l’agricoltore dovrà fare in modo che aumentino?
Al di là della provocazione, nel documento si nota come il calo drastico nella popolazione di farfalle ci sia a partire dal 2016, mentre fino ad allora non si sono rilevate particolari criticità. Questo trend va in netta controtendenza con la revoca incessante dei principi attivi più tossici, iniziata già da diversi anni, e dal contestuale aumento delle superfici a biologico. Quindi, il colpevole non sarebbe solo il settore agricolo, ma evidentemente suppongo che il discorso sia ben più articolato, proprio come nel caso delle api (clicca qui per approfondire) dove, fra cambiamento climatico e inquinamento generalizzato, emerge uno scenario alquanto complesso.
In conclusione, questo non significa che l’agricoltura non debba fare la sua parte, ci mancherebbe, ma bisogna passare dall’approccio ideologico, e per certi versi pressapochista, a uno realistico basato sulle evidenze scientifiche. Diversamente vedremo i trattori (che sembrano averci preso gusto) scorrazzare nelle strade europee per diversi mesi ancora.(gc)