Produrre «meno ma meglio» o «più a meglio»?

Si anima il dibattito sul tema ma il segreto è nei rapporti causa effetto

Produrre «meno ma meglio» o «più a meglio»?

Sono contento che l'articolo dei giorni scorsi sulla strategia che a mio avviso andrebbe adottata per fronteggiare l’attuale crisi dei consumi (clicca qui per leggere l’articolo) abbia prodotto tanta corrispondenza, a cui prometto di dare riscontro a stretto giro; significa che il tema stimola proprio perché la situazione “brucia”.
 

Se poi, oltre ai lettori, raccoglie anche l’interesse degli opinionisti del settore è motivo di ulteriore soddisfazione. Peccato che quanto ho letto ieri sul “produrre più a meglio”, prendendo esempio dagli spagnoli che esportano tre volte quanto fanno i connazionali, come alternativa al “produrre meno ma meglio” che suggerivo, non trovi riscontro nei numeri, altrimenti sarebbe una vera pacchia!
 

Gli spagnoli, infatti, hanno davvero incrementato il loro export anno dopo anno – a valore quasi del 30% dal 2015 al 2021, secondo il Ministero dell’Agricoltura iberico – ma questo avviene perché nello stesso orizzonte temporale hanno ridotto la produzione dei loro articoli strategici per l’export, qualificandola e non aumentandola. Infatti, sul fronte produttivo, escludendo il caso dei peperoni, che sono l’eccezione che conferma la regola, la maggior parte delle produzioni strategiche è rimasta stabile o ha subito una contrazione delle quantità, a fronte di un aumento del valore. Per l’insieme di peperoni, agrumi, stone fruit, fragole e pomodori siamo passati dai 15,2 milioni di tonnellate prodotte in media nel triennio 2015-2017 ai 14,2 del 2019-21.  

Per le fragole, ad esempio, da sempre la nostra spina nel fianco, la produttività è passata da quasi 55 tonnellate per ettaro a poco più di 45 nello stesso orizzonte temporale, su una superficie che è rimasta grosso modo costante, il che significa con una riduzione della produzione complessiva dell’ordine del 20%. Nuove varietà, più performanti soprattutto sul piano della soddisfazione del consumatore, hanno supportato l’export, cresciuto soprattutto a valore, a confermare quanto scrivevo. Se poi vogliamo parlare di pesche e nettarine, anche qui siamo passati da una produzione nell’intorno di 1,5 milioni di tonnellate a poco meno di 1,2, in questo caso senza riduzione significativa della produttività, ma con parziale riconversione verso le tipologie platicarpe che permettono una snackizzazione dei consumi e hanno sostenuto così l’export, sempre a valore, malgrado le defaillance produttive di questi ultimi anni.
 

I miracoli, quindi, non sono alla portata nemmeno degli spagnoli e, per riprendere quanto ho letto ieri sulla stampa, non è nemmeno un problema di marketing - su cui il nostro sistema ortofrutticolo certo deve fare qualche riflessione - ma di numeri, che se letti in profondità possono aiutare a capire cosa fare, diversamente rischiano di confondere. Per sintetizzare, il segreto degli spagnoli sta nell’aver portato il valore medio del loro export di ortofrutta da 1,02 euro/kg del 2015 a 1,25 euro/kg del 2021, grazie a migliori prodotti e mix più adeguato, non nell’aver puntato sull'aumento della produzione.