Come trasformare i costi in valore

Il 300% da scandalo a opportunità

Come trasformare i costi in valore

I due servizi dedicati qualche giorno fa al famigerato 300% fra i prezzi alla produzione e al consumo (Clicca qui per approfondire), hanno creato quell’effetto virale tra i lettori che tanto piace oggi. Ringrazio tutti coloro che si sono espressi sul merito. A qualcuno ho potuto anche mandare una risposta articolata sui dettagli, con altri si è avviato addirittura un simpatico contraddittorio epistolare, con tanti un semplice ringraziamento per l’attenzione, che rinnovo pubblicamente. 

Fra i tanti spunti emersi, l’elemento più interessante in chiave di analisi è che molti hanno chiosato sulla scelta delle mele Golden della Val di Non come esempio. Perché non l’insalata, i ravanelli, la ciliegia o le albicocche? La scelta è stata ponderata a lungo, per cui la risposta, una volta tanto, può essere lapidaria: perché se il prezzo fra produzione e consumo quadruplica in una delle filiere più efficienti e controllate dell’ortofrutta italiana, per le altre non potrà che essere peggio. Anzi, visto che – come esagerando ha fatto notare anche la Gabanelli (Clicca qui per approfondire)  nel recente corsivo sul Corriere della Sera – i produttori organizzati del trentino fanno valere le loro ragioni sul mercato, proprio questa filiera dimostra più di ogni altra che, a valle dell’attività agricola, la maggior parte dei costi sono espliciti, diretti e – per lo più – difficilmente comprimibili. Se no, la spasmodica rincorsa a prezzi bassi che contraddistingue il mercato di oggi avrebbe fatto rinunciare in qualche passaggio a margini in esubero.

So che chi ha scritto in realtà voleva veder confermato se, nelle altre filiere, l’incomprimibilità dei costi a valle porta in rosso il bilancio dei produttori. Ma la risposta la sappiamo già tutti: molto spesso è così. L’importante è che la causa di questo sia individuata - come norma - in una debolezza contrattuale che, accompagnata da alti costi lungo la filiera in rapporto al valore dei beni, porta indebitamente - e sottolineo indebitamente - a comprimere il prezzo pagato proprio al produttore che, anello debole, nel breve periodo non ha alternative. Se solo pensiamo al trasportatore, infatti, le alternative aumentano già nell’immediato. Anche se ha un semirimorchio refrigerato può tentare di cambiare merceologia fresca o, al limite, passare a una merce non refrigerata, spegnendo il frigo, e – in ogni caso - sotto al costo del carburante e dei pedaggi fermerà il camion. Il produttore, una volta raccolto il prodotto, questo non lo può fare. Qualunque prezzo per la merce in natura è meglio di nulla. Da cui la debolezza.

Su come alzare il potere contrattuale dei produttori torneremo a breve, oggi vorrei focalizzarmi su come facciamo a far capire a chi acquista che i costi lunga la filiera generano un valore superiore all’incremento di prezzo che originano. Questo è il tema complesso che va affrontato al più presto. 

Sulla questione dello sfuso verso confezionato non credo valga la pena ribadire come la penso. Occorre però fare cultura; se non fosse così, nel vino vedremmo ancora damigiane, dame e persino pompe simili a quelle della benzina, che – viceversa - sono diventate solo oggetti vintage da collezionare. Oggi, il cliente non chiede ma “impone” il vino in una confezione con etichetta, pur con tutti i costi che comporta.

Sui controlli, visto che “good news, no news”, occorre trasmettere che senza sistemi organizzati e processi codificati, i rischi di epatite A (Clicca qui per approfondire) e contaminazioni da Escherichia coli, sono dietro l’angolo e, perciò, non vale assolutamente la pena di correre rischi per pochi centesimi.

Infine, solo per non tediarvi oltre e non perché siano finiti gli esempi, il controllo della temperatura lungo tutto il processo è una precondizione per assicurare freschezza e soddisfazione palatale. Per fare un parallelo, l’atmosfera protettiva per carne e salumi è stata snobbata a lungo ma, oggi, evidenze alla mano, è sempre più richiesta, rispetto al prodotto al taglio, per le migliori prestazioni che offre, oltre che per la praticità, e malgrado il costo.

In sintesi, se proprio non vogliamo o possiamo usare la marca come elemento che racchiude tutti i valori del prodotto e li rende percepibili nel prezzo, ben sapendo – però - che, nella storia, le categorie degli alimentari di successo hanno seguito questa via maestra, almeno lavoriamo per alzare la percezione delle attività lungo la filiera e del loro valore, oltre che del loro costo.