Il meglio di IFN
Gelate tardive: buone chanche dai sistemi attivi ma occorre limitare le variabili
Ri.Nova: sviluppare progetti di ricerca per ottimizzare gli effetti dei diversi sistemi di difesa
Inutile illudersi. Il problema delle gelate tardive primaverili non scomparirà e continuerà ad affliggere i frutticoltori italiani (ed europei) anche nei prossimi anni. Quindi non si potrà prescindere dai sistemi di difesa attiva, a maggiore ragione dopo che le polizze assicurative sono diventate sempre più onerose. Da un lato, però, occorre migliorare tempestività e accuratezza delle informazioni meteorologiche che giungono all’agricoltore e, dall’altro lato, è necessaria una conoscenza più approfondita del funzionamento dei molteplici sistemi nelle diverse casistiche, perché le variabili che influiscono sul risultato finale sono molteplici.
È questo, in estrema sintesi, ciò che è emerso dall’incontro tecnico “Metodi di difesa dalle gelate tardive: il punto di vista degli esperti”, organizzato da Ri.Nova e moderato da Giuliano Donati, Presidente di GranFrutta Zani, e dal Direttore dell’ente di ricerca Alvaro Crociani.
Il confronto tecnico si poneva l’obiettivo di mostrare lo stato dell’arte in merito alle migliori tecniche di difesa attualmente disponibili e quale direzione dovrà prendere la ricerca in funzione delle criticità che emergono. Ovviamente, visto il tema, non son mancati gli spunti, ma andiamo con ordine.
Clima: negli ultimi 30 anni è aumentata la variabilità e questo trend aumenterà in futuro
Durante la prima parte della sessione si sono susseguiti esperti che hanno contestualizzato lo scenario climatico negli ultimi 60 anni, spingendosi poi ad alcune previsioni di lungo periodo.
“Uno studio che confronta il trentennio che va dal 1960 al 1990 con quello successivo – dal 1990 al 2020 – evidenzia come, col progredire degli anni, oltre all’aumento medio delle temperature, si sia assistito ad un incremento dei picchi di caldo e di freddo. In particolare, si nota un aumento della variabilità in primavera soprattutto fra marzo e aprile che è il periodo critico per le gelate”, sottolinea Gabriele Antolini di ARPAE, Emilia-Romagna.
Concetto ribadito da Pier Luigi Randi, dell’Associazione Meteo Professionisti, che si è spinto in previsioni di lungo periodo: “Al 2070 avremo un ulteriore aumento delle temperature medie sulla Terra, stimato in 1,5 °C, con un conseguente incremento dei picchi di caldo, ma pure (seppur con minor frequenza) di freddo. La cosa più importante è che ci sarà un aumento della varianza, e quindi della probabilità, che avvengano eventi caldi e freddi. Inoltre, se si considera che l’Italia si trova in un’area del Pianeta dove i cambiamenti climatici sono più veloci che in altre zone, è chiaro ed evidente come dovremo convivere con il rischio di gelate tardive, oltre a tutte le altre criticità legate al cambiamento climatico”.
Un altro aspetto che “amplifica” l’effetto delle gelate tardive al Nord Italia è l’inverno mite che velocizza le fasi fenologiche, come spiegato dal Prof. Luca Corelli Grappadelli del DISTAL, Università di Bologna: “Giornate caratterizzate da temperature minime di 0°C e massime di 10°C, come quelle di questi giorni, permettono già di soddisfare il fabbisogno in freddo delle nostre colture arboree. Per esempio, una varietà di nettarine con medio fabbisogno in freddo, come Big Top, negli ultimi anni arriva a inizio gennaio a soddisfare completamente le ore in freddo e a interrompere la dormienza. A questo punto il risveglio vegetativo è direttamente correlato alle temperature e, quindi, sarà anticipata l’idratazione degli organi vegetativi rendendoli più suscettibili alle gelate”.
Un tema che è stato ben chiarito, in quanto ha dirette implicazioni sulla difesa delle colture, riguarda la tipologia di gelata che è solitamente di due tipi: avvettive e radiative. Come riporta l’Arpae, nel report “Le gelate di marzo e aprile 2020 in Emilia-Romagna”, le prime sono provocate da incursioni di masse di aria gelida in presenza di atmosfera ventosa e ben rimescolata, e temperature di solito sotto lo zero anche durante il giorno e sono abbastanza comuni nei nostri ambienti durante l’inverno, quando però le piante, in riposo vegetativo, sono acclimatate e quindi molto resistenti. Le possibilità di protezione attiva delle colture da questa tipologia di gelate sono estremamente improbabili, date le caratteristiche fisiche che si creano in atmosfera, e difficilmente contrastabili dall’adozione di pratiche di protezione ad hoc.
Quelle che in genere sono tipiche non soltanto di molte gelate invernali ma anche delle gelate primaverili sono le gelate radiative, o per irraggiamento. In questo caso il raffreddamento è localmente causato dal forte irraggiamento infrarosso dal suolo verso il cielo tipico di nottate serene, secche e poco ventose. Durante questi episodi si genera un profilo di inversione termica (con temperatura minima al suolo e crescente con la quota) molto accentuato. Inoltre, il movimento gravitazionale dell’aria che si raffredda e che diventa quindi più densa, ne provoca l’accumulo nelle zone relativamente meno elevate (fondovalle in collina e montagna, depressioni in pianura). La variabilità spaziale del campo termico in prossimità del suolo diventa quindi molto alta, essendo legata alla conformazione topografica della superficie terrestre. Questa tipologia di gelata è molto pericolosa per intensità, periodo e frequenza, ed è inoltre difficile da descrivere per l’elevata variabilità spaziale e temporale della temperatura. D’altro canto, in queste circostanze, è possibile contrastare almeno parzialmente il raffreddamento con diverse tecniche di difesa.
Secondo gli esperti, nelle ultime annate si è verificata una forma mista fra gelate avvettive e radiative.
L’incontro, poi, è entrato nel vivo con la disamina dei diversi sistemi di difesa attiva che sintetizzeremo.
Irrigazione antibrina: peculiarità dei sistemi sotto e sovrachioma
Com’è noto questo sistema sfrutta l’energia che si genera quando l’acqua passa dallo stato liquido a quello solido. Cospargendo di acqua le piante si forma uno strato di ghiaccio sulle superfici vegetali. L'acqua ghiacciando rilascia calore nell'ambiente, alzando la temperatura dell'aria, ed essendo a zero gradi preserva i tessuti vegetali (che hanno di solito un punto di congelamento al di sotto dello zero). Tuttavia, occorre irrigare costantemente le piante, in modo da tenere il ghiaccio sempre bagnato e quindi a una temperatura di zero gradi.
Stefano Corradini, della Fondazione E. Mach di S. Michele all’Adige e Cesare Gallesio, di Agrion/Coldiretti Piemonte, hanno raccontato le esperienze all’interno dei loro areali con il sistema di irrigazione antibrina sovrachioma, in voga su melo negli areali di fondovalle. Sintetizzando, questo sistema che bagna e ghiaccia tutta la pianta per l’intera nottata a rischio gelata, è molto efficace anche nei confronti di temperature particolarmente critiche (-7 e -8°C). L’aspetto critico riguarda il consumo di acqua molto consistente, pari a 40/50 metri cubi all’ora ad ettaro, equivalenti a 400-500 metri cubi di acqua utilizzata all’ettaro a notte (come se insistesse una pioggia di 30-40 millimetri).
In Emilia-Romagna, considerata la minore disponibilità idrica e la presenza di terreni argillosi (che mal sopportano troppa acqua), si è sviluppata la l’irrigazione antibrina sottochioma: “Con questo sistema i volumi di adacquamento sono inferiori, circa 25-35 metri cubi di acqua all’ora ad ettaro – illustra Stefano Anconelli del Canale Emiliano Romagnolo – ma sono in atto ricerche per abbassare ulteriormente questo limite. L’efficacia è favorita dal cotico erboso non tagliato – poiché aumenta la superfice che scambia calore – e dalla presenta di reti antigrandine aperte. Il sottochioma fino a 3-4 gradi sottozero ha dato buoni risultati, oltre inizia a mostrare limiti”.
Tuttavia, questa tecnica è fortemente limitata dall’approvvigionamento irriguo, come spiega Andrea Fabbri, agronomo del Consorzio di Bonifica della Romagna Occidentale: “La distribuzione collettiva attualmente in essere nella nostra regione non permette di sostenere l’antibrina su vasta scala. Per farlo occorrerebbe un sistema di integrazione della risorsa idrica con pozzi o bacini idrici aziendali in modo da avere una fonte aggiuntiva che possa garantire il funzionamento”.
Ventole antibrina: risultati interessanti
Fra i sistemi che non prevedono l’utilizzo di acqua, la ventola antibrina è fra quelli più utilizzati. In pratica, durante le gelate da irraggiamento, grazie all’utilizzo di una ventola si rimescolano gli strati d’aria in modo da spingere l’aria calda che sale in quota verso il suolo. Secondo l’esperienza diretta dell’agricoltore Mirco Carrelli di Castel Bolognese (RA), che utilizza torri da 10 metri con ventole da 6 metri funzionanti tramite motori a gasolio, le macchine (5 per 20 ettari) hanno dato risultati interessanti salvando più volte la produzione, anche a temperature di -5/-6 °C. Ovviamente, più macchine sono in funzione – nella zona ce ne sono diverse – più si genera un effetto “turbolenza” che garantisce risultati migliori. Inoltre, occorre azionare la ventola nei tempi giusti, monitorando con attenzione l’evolvere delle temperature.
Da non sottovalutare la rumorosità generata dalle ventole che in alcune zone vicino ai centri abitati è una discriminante utilizzata dai comuni per impedirne l’installazione.
Infine, si possono adottare sistemi di riscaldamento dell’aria come candelotti di paraffina e bruciatori mobili. I candelotti di paraffina funzionano molto bene e sono soprattutto utilizzati nei piccoli appezzamenti dove non è possibile adottare gli altri metodi. Sono però molto costosi, specie dopo l’aumento del prezzo del pellet. In questo caso l’apertura delle reti antigrandine è sicuramente un valido alleato. I bruciatori mobili funzionano più che sull’innalzamento della temperatura sulla transizione di fase, controllando la formazione di brina. Il problema con queste macchine è che richiede una presenza continua di manodopera.
Conclusioni: bisogna limitare le variabili in campo
Ciò che emerge dai diversi interventi e dal confronto che ne è scaturito, è come tutti i sistemi di difesa antibrina abbiano pro e dei contro, e che una via per minimizzare le variabili in campo potrebbe essere un approccio integrato di diversi sistemi. Un aspetto critico, sottolineato durante i diversi interventi, è che le variabili che influiscono sul buon esito della tecnica sono innumerevoli e cambiano notevolmente da azienda ad azienda. Quindi, si rischia che un sistema efficace in un caso non lo sia in un altro e viceversa. È in questa direzione che Ri.Nova intende concentrare l’attenzione attraverso lo sviluppo di progetti di ricerca per ottimizzare gli effetti dei diversi sistemi di difesa dalle gelate tardive.