Quante alluvioni occorreranno per mettere mano davvero al territorio?

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. L'imperizia costa più delle esondazioni dei fiumi

Quante alluvioni occorreranno per mettere mano davvero al territorio?

È difficile trovare le parole per descrivere quanto sta avvenendo in Romagna, nuovamente colpita da una alluvione devastante, appena 14 mesi dopo l'ultimo incubo. Non voglio fare della retorica, ma provate a mettervi nei panni di quelle persone che hanno appena finito di sistemare casa dopo un anno di tribolazioni – e non è detto ci siano riusciti – e si ritrovano al punto di partenza, sommersi dal fango. Un’altra volta. Mentre scriviamo è impossibili anche solo immaginare un bilancio dei danni mantre diverse aree sono ancora in pina emergenza e per oggi permane l'allerta rossa, ma dalle immagine e dai filmati che si rincorrono sul web e in televisione anche l'agricoltura pagherà di nuovo un conto salato. 

So per certo che i romagnoli si stanno già rimboccando le maniche per uscire da questo dramma, e la redazione di IFN è vicina a tutte le popolazioni colpite. Di pari passo con la solidarietà, però, stanno montando le polemiche, perché nessuno, fino a pochi giorni fa si sarebbe immaginato di rivivere un’altra alluvione.
Che cosa è andato storto? Si poteva prevedere, e, soprattutto, si poteva evitare? Difficile rispondere, ma proviamo a mettere in fila alcuni elementi utili alla disamina del fenomeno.

Il mare caldo ha “dopato” le piogge
Come anticipato, non era previsto che la situazione precipitasse fino a questo punto. Certo, si sapeva che ci sarebbe stata una perturbazione importante, ma non che peggiorasse in modo così drammatico: solo nella giornata di mercoledì ci sono stati cumuli pluviometrici con punte di 200/270 mm che, sommandosi a quelli del giorno precedente, portano il conto a 250/350mm in 48 ore nelle aree più colpite, con punte che addirittura sfiorano i 400 mm, l’equivalente di 6 mesi di precipitazioni normali per questa zona. L'area in cui sono scesi oltre 100 mm occupa un'area grande, grossomodo, come metà regione. 

Pioggia cumulata in 48 ore, dal 17 al 19/09/24. Fonte: pagina FB di tornado Italia.

I numeri, quindi, certificano una perturbazione senza dubbio devastante, ed è fondamentale comprendere per quale motivo si è abbattuta questa forza distruttiva sulla Romagna. Pierluigi Randi, tecnico meteorologo certificato e meteorologo Ampro (Associazione meteo professionisti, ha spiegato nella sua pagina Facebook i dettagli di questa perturbazione: “Siamo in presenza di un sistema mare-atmosfera “dopato. Il doping è in quel grafico che evidenzia, nel cerchio rosso, le mostruose anomalie di temperatura superficiale dell’acqua dell’alto Adriatico nel periodo luglio-settembre (fino alla prima decade) 2024, quando si è arrivati, in più di una circostanza, a 30°C.
 

Grafico dell’evoluzione della temperatura superficiale giornaliera del Mare adriatico del Nord (pagina FB di Pierluigi Randi)

“Quel calore accumulato in eccesso – prosegue Randi – viene rilasciato, “consumato” e dissipato molto lentamente e viene messo “a disposizione” per la parte più bassa dell’atmosfera. Questo comporta:
1) Una maggiore quantità di vapore acqueo all'atmosfera;
2) Aumenta l'instabilità e il sollevamento atmosferico (più l’aria è calda e umida e più rapidamente si solleva, oltre a contenere più vapore; insomma è più instabile);
3) Rilascia più energia sotto forma di calore latente, rafforzando i sistemi perturbati e/o precipitanti;
4) Favorisce la formazione di rovesci e temporali più intensi sotto il profilo dei ratei di precipitazione.
Ecco che quando arriva un sistema perturbato, nemmeno così intenso come in questi giorni, il “doping” agisce. In questo caso specifico, la perturbazione (senza entrare nei dettagli) è stata caratterizzata da una sequenza di temporali che si generavano continuamente dal basso adriatico e questo abbassa la capacità di prevedere con ottima approssimazione le aree più colpite, i tempi in cui verranno colpite e gli accumuli nei singoli bacini”, conclude nella sua analisi Randi.

Occorre investire in manutenzione e infrastrutture per limitare i danni 
Scusate la divagazione meteorologica, ma era necessaria per evidenziare come fosse estremamente complicato preveder con precisione gli effetti di questa perturbazione, e, in particolare, di come il caldo mare Adriatico sia stato il “motore” di avviamento principale. Quindi, il cambiamento climatico ci ha messo lo zampino e non occorre Nostradamus per capire che il futuro non sarà certamente più roseo. Appurato che l’entità della perturbazione fosse difficile da prevedere, c’è da chiedersi se il territorio fosse pronto per affrontare questo evento. Evidentemente no. Le immagini e video che circolano in tv e sul Web sono piuttosto eloquenti. Non voglio entrare nel merito della bagarre politica, dove è già in atto lo scaricabarile delle responsabilità, però è evidente che bisogna cambiare passo su tutta la linea, a partire dalla manutenzione dei corsi d’acqua. È normale che alcuni tratti del fiume siano delle foreste, tanto che durante la fase di piena i tronchi vengono portati a valle ostruendo il flusso in prossimità dei ponti, che a sua volta tracima?  Purtroppo ci si dimentica come un corso d’acqua di carattere torrentizio con le sponde costruite dall’uomo, è una sorta di ecosistema antropico e, in quante tale, deve essere gestito e non lasciato a sé stesso.
 

Probabilmente, di fronte ad accumuli piovosi così cospicui, nemmeno i fiumi gestiti in modo impeccabile sarebbero resistiti alla mole dell’acqua caduta in 48 ore. Quindi? Speriamo nella buona sorte? Abbiamo visto che non paga. Occorre avviare un piano di infrastrutture che limiti l’effetto distruttivo dei fiumi in piena, a partire dalle casse di espansione che hanno risolto (o per lo meno fortemente limitato) i problemi causati dalle piene del fiume Secchia a Modena. Più facile a dirsi che a farsi, perché il processo per portare a termine un’opera di questo genere è lungo e complesso, soprattutto in un territorio urbanizzato come quello romagnolo che percorre la via Emilia da Rimini a Imola. È evidente che occorre un cambio di passo, non solo in Romagna, ma lungo tutta la Penisola. Pertanto, chi, fra le istituzioni, credeva che l’alluvione dello scorso anno rimanesse un evento isolato è stato prontamente smentito ed è tempo lasciar da parte le polemiche e passare ai fatti.