Api, perché Greenpeace spara a zero sugli agricoltori?

La grande assente è la strategia per reagire

Api, perché Greenpeace spara a zero sugli agricoltori?

Fermi tutti, è a rischio la sopravvivenza di mele, pomodori e fragole. Può sembrare un pesce d’aprile a scoppio ritardato, ma è ciò che sostiene Greenpeace nella sua campagna per salvare le api, con un messaggio che arriva quotidianamente nelle case degli italiani grazie ad una martellante pressione sulle principali reti televisive, da fare invidia persino a PoltroneSofà.  

Fin dall'inizio dello spot - che dura circa 1 minuto - si cerca di far leva sui ricordi legati alla famiglia: “Delle vacanze con la nonna ricordo il suo sorriso, il suo profumo e il ronzio delle api…”. Io non so quanti di voi associno la nonna alle api ma, per quanto mi riguarda, il primo ricordo di mia nonna è legato alla cucina e quindi alle lasagne al forno o ai cappelletti in brodo. Anzi, se c’era un ronzio di api, lei mi diceva di allontanarmi per non correre il rischio di essere punto. 

Ad ogni modo, per Greenpeace “quel rumore familiare sta sparendo”, e chi è il colpevole? Chiaramente l’agricoltore, che “utilizza pesticidi che mettono a rischio la sopravvivenza delle api e con loro di colture come mele, pomodori e fragole”. 
Detto ciò, l’onlus invita il telespettatore a sostenere (economicamente) "la campagna per chiedere la messa al bando dei pesticidi dannosi per le api. Le api devono sopravvivere e con loro tutte le colture naturali che ci donano. Per i miei bambini e per i bambini di domani”. Il messaggio è chiaro, per salvare il futuro dell’umanità bisogna impedire agli agricoltori di utilizzare i pesticidi.

Siamo ai limiti del grottesco, soprattutto se si pensa che Greenpeace ha chiamato in causa 3 filiere (mele, fragole e pomodori) che, anche solo per ragioni di mera sopravvivenza, hanno a cuore il futuro degli insetti pronubi. 

Solo per citare un esempio, secondo il Bilancio di Sostenibilità dell'Associazione dei Produttori Ortofrutticolo Trentini (APOT)  2023, pubblicato di recente, in Trentino dal 2010 ad oggi il numero degli apicoltori è aumentato, passando da poco più di 1.400 a circa 1.800, mentre il numero delle arnie ha sfondato la soglia delle 40 mila unità nel 2021 quando nel 2010 erano poco più di 25 mila. Infatti, nel corso dell’ultimo decennio c’è stata una drastica riduzione nell’utilizzo di sostanze chimiche in generale - e di principi attivi dannosi per le api in particolare - e, al contempo, sono state messe in atto una serie di buone pratiche agronomiche per proteggere gli insetti pronubi. Oltretutto, oramai è noto come una buona impollinazione sia il giusto viatico per una produzione di qualità, soprattutto per le nostre coltivazioni ortofrutticole che prevedono, in larga parte, una impollinazione entomofila e, difatti, in questo periodo di fioritura, sono molteplici le aziende che posizionano arnie nei frutteti per i motivi suddetti. 

Un meleto trentino

Quindi, la posizione di Greenpeace non trova effettivo riscontro nella realtà ortofrutticola, anche se non è la prima volta – e non sarà nemmeno l’ultima –  che vediamo il nostro settore nel complesso ingiustamente accusato di minacciare l’ambiente o di cercare di avvelenare i consumatori. È una sorta di gioco delle parti, con la differenza che una delle due parti (Greenpeace) comunica ai 4 venti situazioni che non trovano riscontro nella realtà, mentre l’altra parte (il mondo agricolo) non fa assolutamente nulla. Ed è proprio questo il problema, ci si lamenta troppo ma si agisce poco anche quando si è nel giusto ed è necessario. E gli ambientalisti ringraziano.