Uva da tavola: Italia leader, ma non lo dimostra

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Uva da tavola: Italia leader, ma non lo dimostra

L’Italia è nettamente leader a livello europeo nella produzione e commercializzazione dell’uva da tavola, ma la competizione con gli altri Paesi del Mediterraneo sarà sempre più dura nei prossimi anni, visti e considerati gli exploit di Turchia ed Egitto. Il terreno di scontro saranno con buona probabilità le uve senza semi, in continua crescita a livello di consumi, anche nel nostro Paese. Sono queste, in estrema sintesi, le principali evidenze che emergono dalle analisi del Monitor Ortofrutta di Agroter relative all’uva da tavola approfondite nelle prossime righe.


Mediterraneo: Turchia ed Egitto non conoscono avversari

A livello mondiale, se escludiamo la Cina, che da sola produce quanto tutto il resto del Mondo, il Bacino del Mediterraneo è l’areale più importante per l’uva da tavola. La Turchia primeggia, con una produzione media di poco superiore a 2 milioni di tonnellate e oltre 200 mila ettari coltivati; segue l’Egitto, che mostra oscillazioni piuttosto marcate da un anno altro, e che si posiziona su 1,5 milioni di tonnellate ma con le superfici in aumento e che superano gli 85 mila ettari.

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In terza posizione troviamo l’Italia, con numeri piuttosto stabili, pari a circa 1 milione di tonnellate raccolte in media negli ultimi 5 anni ed una superfice costante fra i 46 e i 47 mila ettari. Alle spalle dell’Italia troviamo – appaiate - Grecia e Spagna, che valgono assieme 2/3 dell’Italia, a dimostrazione di come il nostro Paese sia di gran lunga il più importante player dell’Unione Europea. 


Export stabile, ma occorre diversificare. L’import non deve far paura 

L’uva da tavola è storicamente una delle punte di diamante del Made in Italy ortofrutticolo nei mercati internazionali, seconda solo alle mele, grazie a circa 700 milioni di Euro e 450 mila tonnellate esportate ogni anno. In pratica, poco meno della metà della produzione supera i confini nazionali, giungendo quasi tutta in Europa (l’extra UE vale solo l’1,5%). Come da consuetudine, la Germania fa la parte del leone (da sola vale 1/3), mentre in UK, che è tradizionalmente uno dei più grandi consumatori a livello mondiale, non riusciamo a “sfondare” (appena 30-40 milioni di euro venduti contro i 130 milioni di euro esportati in Francia). È evidente che nel prossimo futuro sarà importante riuscire a diversificare i mercati di destinazione.

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Spostandoci all’import, si sottolinea un trend statico e tutto sommato risibile, poiché a volume vale poco meno del 2% di quanto produciamo ed è concentrato nel periodo di contro-stagione. Quindi, dati alla mano, l’importazione da altri Paesi non può rappresentare un alibi se ci sono problemi sul mercato interno.

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Produzione Italiana: il settore “tiene”

L’analisi dei dati produttivi nazionali non mostra particolari sorprese: in Puglia e Sicilia si concentra oltre il 90% dell’uva da tavola prodotta lungo la nostra penisola, con la prima che svetta sia nelle superfici che nelle quantità prodotte. Nella regione adriatica si contano 3 areali produttivi importanti: Bari, BAT (Barletta, Andria e Trani) e Taranto, mentre in Sicilia, Catania (Mazzarone) e Agrigento (Canicattì), sono le zone più vocate.

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È interessante notare come i trend siano in leggero calo, ma non si sta assistendo a nessun crollo verticale, nonostante le crisi di mercato che hanno colpito il settore negli ultimi anni. Oltretutto è evidente come ci sia una spiccata concentrazione produttiva (in 5 province e 2 regioni si coltiva l’intera uva da tavola italiana), che è alla base per una aggregazione strutturata dell’offerta, che solo negli ultimi anni inizia, timidamente, ad intravedersi.


Consumi domestici: prosegue la corsa dell’uva seedless

I dati delle vendite di uva da tavola nei canali Iper+Super ci permettono di analizzare i trend delle tipologie più apprezzate dai nostri connazionali. È interessante notare come nel confronto fra l’annata 2022 e 2021, ci sia stato un calo generalizzato dei consumi di uva da tavola pari al 3,3% causato soprattutto dalla pessima performance del prodotto sfuso che perde quasi 7 percentuali.

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Il prodotto confezionato non riesce a compensare le perdite dello sfuso, ma è evidente come le varietà senza semi stiano incontrando il favore crescente da parte dei consumatori italiani, con un aumento a doppia cifra (13,9%). In crescita anche il consumo dell’uva estera, per la stragrande maggioranza di controstagione e caratterizzata dall’utilizzo di varietà senza semi. Quindi sembra che anche il consumatore italiano si stia poco alla volta spostando verso il consumo delle uve senza semi, al pari di quanto sta accadendo in Europa da diversi anni.
A tal proposito occorre notare come solo da pochi anni siano in essere programmi di miglioramento genetico italiani atti a selezionare nuove varietà senza semi, mentre, fino ad ora, i nostri produttori hanno piantumato – spesso controvoglia – varietà (brevettate) provenienti da programmi di miglioramento genetico straniero. Un atteggiamento che non si confà ad una delle nazioni leader a livello mondiale e speriamo che l’inversione di tendenza dia buoni frutti. 
 

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