Siamo un paese ad alta biodiversità… fiericola!

Il settore punta alla “verticalizzazione” sia di prodotto che di filiera

Siamo un paese ad alta biodiversità… fiericola!

A distanza di due settimane dalla conclusione della 16esima edizione di Fruit Attraction, è possibile ragionare a bocce ferme sull’evoluzione fieristica del nostro comparto. La kermesse spagnola è stata un successo e i numeri supportano questa affermazione: hanno partecipato complessivamente 117.370 professionisti provenienti da 145 paesi, con un incremento del 13% rispetto all'anno precedente.
Un trionfo che suggella la leadership spagnola nel commercio ortofrutticolo europeo, capace di fare squadra nonostante i campanilismi – presenti anche in terra iberica – come ha evidenziato il nostro corrispondente Paco Borras (clicca qui per approfondire). 

Fruit Attraction 2024

A questo punto che ne sarà di Fruit Logistica, ritenuta fino ad ora l’evento clou del Vecchio Continente? A tal proposito abbiamo ascoltato le opinioni più disparate in merito: fra chi è certo di un lento declino della Fiera berlinese e chi, al contrario, ritiene che ci potrà essere al massimo un riposizionamento e nulla più. Difficile azzardare previsioni, ma nei prossimi 3-5 anni capiremo se una prevarrà sull’altra o meno.

Arriviamo, quindi, alla proposta fiericola italiana, che da qui a inizio dell’anno nuovo è piuttosto densa di appuntamenti. Ieri, a Bari, è terminata la prima edizione di LUV, la nuova fiera dell’uva da tavola; fra 26 giorni, a Bolzano, tocca a Interpoma, la fiera della mela che ha una storia oramai consolidata di oltre 20 anni; la settimana successiva esordisce, a Catania, Frutech, in cui il focus sarà l’innovazione. 
Non dimentichiamoci di EIMA, l’Esposizione Internazionale di Macchine per l'Agricoltura, che a inizio novembre accoglierà a Bologna visitatori da tutto il Mondo con un focus anche sulla meccanizzazione dell'ortofrutticoltura.
Se a dicembre l’attività fieristica si prende una pausa, a gennaio torniamo in pista con Marca, la fiera per eccellenza della marca del distributore, che ha in Marca Fresh il suo salone dedicato ai prodotti di nostro interesse. 
È evidente la proliferazione di fiere cosiddette “verticali”, che abbracciano un unico comparto, probabilmente come diretta conseguenza di una biodiversità produttiva difficilmente replicabile in altri Paesi, e che va a braccetto con una mentalità imprenditoriale fortemente legata al territorio in cui opera. Per la verità non è un approccio propriamente originale, come qualcuno ha azzardato, anche in Spagna si faceva così prima dell’avvento di Fruit Attraction e lo stesso in Francia, prima che le Fiere di comparto alzassero bandiera bianca. 

A prescindere dalle opinioni che si possono avere su questo approccio, sarà il mercato a decidere il loro destino. Per esempio, una fiera verticale come Futurpera ha pagato lo scotto di un settore in difficoltà, mentre il comparto dell’uva da tavola, forte della progressione degli ultimi anni ha deciso di lanciare un evento del tutto inedito. 
L’unica fiera italiana che dà attenzione all’intero Universo ortofrutticolo italiano e non solo è Macfrut, che nelle ultime edizioni ha fatto un evidente salto di qualità differenziandosi da Madrid e Berlino. Qui siamo di fronte a una fiera verticale di filiera con una densità di contenuti proposti ai visitatori che non trova eguali, tanto che gli approfondimenti non terminano durante i 3 giorni di inizio maggio, ma proseguono durante il corso dell’anno fra focus online (Macfrut Academy) e seminari (Macfrut Talk). 

Chiaramente, sul futuro possiamo fare solo congetture; vedremo se nei prossimi anni questa “biodiversità fiericola” incentrata sulla verticalità (di filiera o di prodotto) saprà ritagliarsi uno spazio degno di nota ma, soprattutto, quali reali benefici produrrà ai veri destinatari delle fiere: espositori e visitatori. 
È questo un punto di vista che non sempre viene considerato, poiché si tende a misurare il successo delle fiere solo con il numero degli espositori e dei visitatori. L’effetto “ci devo essere anch’io” non va infatti sottovalutato ed è quello che poi porta a declini rapidissimi delle fiere quando le cose non vanno bene, segno che molti andavano perché c’erano i competitori, e che l’effetto domino funziona meglio in negativo che in positivo. (gc)

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