Dal campo
Meloni: i costi preoccupano, ma il clima spaventa
Il meteo sta complicando ogni aspetto legato alla coltivazione
Il tema dei costi di produzione è un argomento particolarmente critico in ambito ortofrutticolo per tutta una serie di peculiarità che caratterizzano il comparto e che si amplificano se prendiamo in esame un prodotto dal ciclo annuale come il melone. Innanzitutto, le variabili da considerare sono innumerevoli, a partire dalla tipologia di impianto (materiali, varietà, sesti, ecc.), alla tecnica colturale adottata (integrato, biologico ecc.), al costo della manodopera in quel determinato areale, fino ai mezzi tecnici (il costo dell’irrigazione varia lungo lo stivale) e al netto di tutte le complicazioni di carattere climatico, che, come vedremo, stanno incidendo non poco.
Quali sono le voci di costo più critiche? Quali strategie adotta il produttore per ottimizzare i costi? Sono domande complesse alle quali cercheremo di dare una risposta grazie all’aiuto dei diretti interessati: i produttori.
Chiaramente il primo nodo da sciogliere è capire il costo di produzione medio di un ettaro di meloni. Nella fattispecie prenderemo in considerazione la tipologia retato – che è la più diffusa in Italia – e una gestione da impresa in economia (casistica dove l’imprenditore amministra l’azienda agricola e ricorre all’utilizzo di manodopera salariata), dove si comprendono i costi di coltivazione espliciti e impliciti medi ordinari, senza considerare il margine del produttore.
Dalle analisi del Monitor ortofrutta di Agroter, che si sono concentrate specialmente negli areali del Centro-Nord Italia, è possibile individuare dei valori medi relativi al 2023 in funzione delle principali tecniche di coltivazione: serra (a partire da 16-17 mila €/ha fino a 26-30 mila €/ha per gli impianti più strutturati), tunnellino (12-14 mila €/ha) e tessuto non tessuto (10-12 mila €/ha).
Chiaramente, il costo a ettaro deve essere riparametrato in funzione della resa produttiva, che può variare, in media, da 30 a 35 ton/ha, generando così un costo al chilo che oscilla fra 30 e 70 centesimi. Questi sono valori relativi alla parte di campagna, al netto del margine del produttore. Per avere il costo f.co partenza magazzino mancano tutte quelle voci di costo relative alla parte di lavorazione e confezionamento, e più in generale del post raccolta, che non approfondiremo in questa sede dove ci si concentra sulla parte meramente agricola.
Ad ogni modo, quelli appena descritti sono valori medi che hanno l’obiettivo di inquadrare il tema, non di fornire un dato puntuale che rappresenti l’intera produzione melonicola italiana. Infatti, come spiegato all’inizio, ogni realtà produttiva, in funzione delle sue caratteristiche, avrà una struttura dei costi che si potrà più o meno distanziare dalla nostra analisi.
Il punto di vista dei produttori
A prescindere dal costo complessivo e dalla sua variabilità, è interessare comprendere quali sono le voci di costo più difficili da gestire da parte degli imprenditori che ogni anno si trovano ad affrontare nuove sfide che hanno un impatto diretto sui costi, come ci racconta Francesca Nadalini, vicepresidente dell'Op Sermide Ortofruit: “in effetti le variabili da gestire sono innumerevoli e spesso imprevedibili. Per esempio, era imponderabile l’aumento repentino delle plastiche e dei mezzi tecnici – diretta conseguenza dei rincari energetici a causa del conflitto ucraino – di appena due anni fa. Adesso la situazione è rientrata, ma ogni anno dobbiamo far fronte all’inimmaginabile. Per esempio, nelle produzioni in serra, stiamo constatando una riduzione della vita delle coperture – probabilmente a causa di sbalzi termici più accentuati rispetto al passato – e questo comporta un inevitabile aumento dei costi. Allo stesso tempo, le spese di smaltimento del film plastico, impiegato anche nella pacciamatura o per i tunnellini, sono aumentate sensibilmente”.
“Ovviamente, abbiamo già fatto valutazioni relativa ai film biodegradabili, ma, nei nostri areali caratterizzati da terreni argillosi, le diverse pratiche colturali devono essere effettuate con un timing superiore rispetto ad altre zone, e questo limita le performance tecniche di questa tipologia di copertura”.
Una osservazione che evidenzia come effettivamente ogni areale abbia delle peculiarità che incidono notevolmente sull’aspetto produttivo, e quindi sui costi. Tuttavia, ciò che più preoccupa l’imprenditrice lombarda è l’impatto del cambiamento climatico: “Riuscire a mantenere un livello produttivo adeguato sta diventando un aspetto prioritario perché, se le rese si abbassano troppo, i costi diventano insostenibili, e il clima, sotto questo punto di vista, non ci sta certamente aiutando: oramai grandinate, bombe d’acqua, venti forti e temperature estreme stanno diventando la normalità. Probabilmente si andrà verso una melonicoltura dove i sistemi di protezione, a partire dalle serre, saranno sempre più importanti, ma questo implica un cambio di passo che ha diverse implicazioni di non poco conto, a partire dalla programmazione di investimenti che richiedono un piano finanziario ed economico molto strutturato”.
L’incremento dei costi di produzione, causato da eventi climatici avversi, è confermato anche da Marco Spinetti, responsabile controllo qualità e produzione di Top Melon: “In linea di massima i costi elencati corrispondono alle spese che sono state affrontate per l’annata precedente a questa, mentre al momento credo che il 2024 si stia presentando con una campagna ancora più ostica, e quindi onerosa della scorsa. Molte voci di costo “secondarie” divengono sempre più importanti e gravose e questo dipende molto dal clima che sta cambiando. Infatti, anche avversità per le nostre zone normalmente trascurabili come lumache e nottue (e molte altre ancora), prolificano a causa delle temperature minime molto alte e della costante bagnatura dovuta alle piogge, con danni alle colture. Tra risarcimenti, mezzi di difesa e manodopera extra per gestire le criticità ci sarà sicuramente un aggravio dei costi.”
“Una tendenza che si sta confermando anno dopo anno, tanto che la difesa dalle avversità biotiche sembra essere la voce di costo con il maggior trend di crescita nel corso del tempo. Molti fitofagi e agenti di malattie fungine sono favoriti da questa umidità costante, dovuta alle piogge ripetute, e non manca il diffondersi di patologie gravi quali Phitium spp, Didimella, pseudoperonospora, etc.”.
“Inoltre, non dimentichiamo come la voce di costo principale rimanga senza dubbio la manodopera, sempre più difficile da reperire e indispensabile nel melone durante tutto il ciclo di coltivazione, dalla realizzazione degli impianti fino alla raccolta”, conclude Spinetti.
Il Ruolo del miglioramento genetico
In un contesto così complicato, la scelta varietale assume un ruolo ancora più importante come ci spiega Matteo Bano, Account Manager melone e anguria area nord di BASF | Nunhems: “Senza dubbio, uno degli obiettivi principali del breeding è quello di introdurre varietà che possano contenere i costi di produzione, e sicuramente la capacità di fornire buone rese produttive è il primo aspetto da considerare, ma, parimenti, è necessario un livello qualitativo adeguato per generare valore. In sostanza, è cruciale che una nuova varietà mostri il perfetto equilibrio fra alte rese e pregevoli qualità dei frutti, e, per fare un esempio, Bernini racchiude in sé queste caratteristiche”.
“Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda la possibilità di contenere il numero di stacchi per ciclo colturale, grazie ad una maturazione concentrata dei frutti. Questa caratteristica è particolarmente importante per le grandi aziende in quanto hanno la possibilità di ottimizzare la gestione della manodopera legata alla raccolta, che sappiamo essere una delle voci più gravose. Per esempio, si può passare da 6-7 stacchi a circa 3 stacchi senza incappare in problemi legati alla maturazione abbassando notevolmente i costi legati alla raccolta.”
“Come evidenziato dai produttori, la gestione degli stress biotici ed abiotici sta assumendo un ruolo sempre più importante – sottolinea Bano – ed anche in questo campo il miglioramento genetico può dare un supporto significativo, a partire dalla resistenza ai patogeni. Attualmente le malattie più critiche per il melone sono l’oidio e la peronospera, mentre, per quanto riguarda i parassiti, gli afidi sono quelli più temibili, soprattutto dopo la revoca di diversi principi attivi che ne limitavano la diffusione. L’altra grande criticità riguarda le malattie del terreno, dai nematodi al fusarium, particolarmente ostiche nei terreni stanchi. In questo caso, l’utilizzo del portinnesto è diventata una pratica comune, nonostante il costo delle piantine aumenti in modo sensibile e vada ad incidere non poco sui costi complessivi. Su questo aspetto stiamo implementando nelle diverse linee tratti genetici che conferiscano resistenze e maggiore rusticità alle piante nell’ottica di contenimento dei costi”.
“L’offerta varietale di BASF | Nunhems annovera diverse varietà altamente tolleranti all’oidio e tutte le nuove introduzioni mostrano ottime tolleranze agli afidi; chiaramente non risolvono la problematica, ma di certo contribuiscono a limitarne lo sviluppo. I nostri ricercatori sono all’opera per ottenere varietà sempre più resistenti ai diversi tipi di stress e malattie telluriche”.
Questo articolo è stato lanciato in anteprima sul servizio di aggiornamento settimanale su WhatsApp di Nunhems dedicato a melone e anguria (clicca qui per sapere come effettuare l'iscrizione).
In apertura: Melone Bernini F1 di BASF | Nunhems
(gc)