Uva da tavola, fine di un’agonia

Il produttore Fanelli: “Innoviamo le tradizioni, servono le seedless”

Uva da tavola, fine di un’agonia

Arriva al capolinea la stagione dell’uva da tavola, da ricordare come la peggiore degli ultimi anni. Una campagna che segnerà la memoria dei viticoltori e adesso le aziende dovranno fare i conti con i bilanci. Forse dopo questa annata la viticoltura italiana avrà da riflettere e farà mea culpa per non incombere in altre stagioni simili.

In questi mesi gli operatori del comparto hanno addotto mille ragioni per la debacle commerciale ma, per loro stessa ammissione, bisogna cambiare rotta per non perdere un patrimonio imprescindibile per l’ortofrutta italiana.
“A fine campagna resterà tanto prodotto invenduto – afferma Donato Fanelli, produttore di uva da tavola a Conversano, provincia di Bari, responsabile commerciale della cooperativa Vivafrutta e componente della Commissione Italiana Uva da Tavola – ma dobbiamo constatare che le motivazioni sono alla luce del sole, tra queste il ridotto appeal commerciale dell’uva con i semi che negli ultimi anni ha perso quote di mercato a favore delle seedless. Il prodotto tradizionale dei territori vocati è stato svilito da scelte produttive e commerciali sbagliate”.

L’uva con i semi non piace più? Le cose non stanno proprio così, come puntualizza il produttore sono gli investimenti a non essere stati sempre corretti. “Con investimenti illimitati di superfici il mercato si è saturato di prodotto, questo ha fatto sì che la varietà Italia e Vittoria perdessero il loro interesse commerciale e diventassero delle referenze base, perdendo la loro desiderabilità commerciale. Dobbiamo razionalizzare gli investimenti in modo da tornare ad una nicchia di mercato, far sì che il consumatore desideri di trovare sui banchi l’Italia e la Vittoria, quella buona, quella riconoscibile. Quest’anno troppi grappoli sono rimasti in vigneto, mangiati da botrite e marciumi, non commercializzati e anche il salvagente del prezzo basso non ci ha salvato da questo vortice”.

Inutile piangersi addosso, anzi si tragga insegnamento dal 2022. “Riavviciniamo i consumatori con la qualità – consiglia Fanelli – e dobbiamo aprire i cancelli delle nostre aziende alle senza semi, guardando ai nostri vigneti con gli occhi dei consumatori per ottimizzare gli investimenti. Dobbiamo ingegnarci per territorializzare le senza semi e renderle tipiche dei nostri territori alla stregua delle varietà storiche.

L’ Autumn Crisp è stata venduta a 3,5 €/kg e all’estero l’uva con i semi è stata venduta come una sorta ricatto per accordare più quote di uve seedless a chi le richiedeva… E’ una situazione assurda”.
Anche i calendari di produzione devono essere rivisti. “Evitiamo lo stress da esordio – dichiara l’imprenditore - e cerchiamo di capire le esigenze dei consumi. Per il 2023 dobbiamo fare il cambio di passo, l’innovazione ci deve spingere ad evolvere la nostra tradizione senza snaturarci”.