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Carrello tricolore senza ortofrutta. Bene o male?
A Palazzo Chigi presentata ieri l'iniziativa che coinvolge 32 sigle
A due giorni dall’avvio dell’operazione fortemente voluta dal ministro Urso per calmierare i prezzi di una quota di prodotti del largo consumo al fine di contenere l’inflazione (per approfondire clicca qui), il “carrello tricolore” comincia ad assumere contorni meno sfumati, non tanto sulla sostanza - ovvero quali e quanti prodotti, in quale modo, per quanto tempo – ma almeno sulla forma. Infatti, proprio ieri il logotipo che troveremo sulle confezioni per capire quali sono all’interno del paniere è stato presentato a Palazzo Chigi dal Premier Meloni, dal ministro del Made in Italy, Urso e da quello dell'agricoltura, Lollobrigida, insieme a 32 sigle della produzione e della distribuzione.
Degli aspetti di comunicazione non mi preoccupo tanto, anche se si è arrivati all’ultimo momento e servirà una campagna pubblicitaria ad hoc per supportare quanto si può già trovare sull'inziativa nel sito del Mimit (per approfondire clicca qui), mentre qualche perplessità in più sulla sostanza del progetto rimane, visto che – al di là dei distinguo fra approccio della distribuzione, che ha firmato un protocollo impegnativo, e dell’industria, che ha sottoscritto una lettera d’intenti - tanti nodi restano da sciogliere sui meccanismi con cui garantire che i prodotti che aderiranno non siano sottoposti a rincari fino a fine anno, garantendo un risparmio complessivo atteso per l'iniziativa dell’ordine del 10-15%. Un’operazione simile in Francia ha sollevato una montagna di polemiche sull’uso indiscriminato di confezioni più leggere per millantare sconti ben più contenuti di quelli sbandierati (shrinkflation, per approfondire clicca qui).
Nemmeno questo, però, è il focus di queste righe. La mia attenzione, infatti, si sposta dall’effetto che l’operazione avrà sui prodotti inseriti nel paniere, all’effetto di aver escluso dal paniere i prodotti freschi, segnatamente gli ortofrutticoli, poiché soggetti a variazioni di quantità e, quindi, di prezzi non prevedibili su un orizzonte trimestrale. Questa è una buona o una cattiva notizia per il comparto?
Sulle motivazioni tecniche non si discute, sono gli effetti a preoccuparmi. Se, infatti, è chiaro che il primo effetto dei prodotti con il bollino sarà quello di spostare acquisti nella loro categoria – ad esempio, latte calmierato rispetto a quello senza agevolazione – e non riguarderà solo i meno abbienti, perché 2/3 degli italiani si sentono minacciati dall’inflazione, meno chiaro è l’effetto che l'operazione avrà sulle categorie escluse dal provvedimento.
Dico questo, perché uno dei fondamenti peculiari del marketing dei prodotti alimentari è che la pancia ha una dimensione finita per cui, a prescindere dal reddito, una volta piena, occorre aspettare di aver digerito per riempirla di nuovo. Puoi comprarti un capannone per parcheggiare tutte le tue auto se hai un reddito adeguato a collezionarle e ti piacciono, ma hai comunque uno stomaco che contiene poco più di un chilo di bolo alimentare alla volta, di cui puoi solo aumentare la qualità ma non la quantità. Per questo spero – temo però invano – che questo provvedimento non contribuisca a spostare quote di questo bolo verso i prodotti calmierati, soprattutto nei ceti meno abbienti, che già sono quelli che hanno ridotto di più le quote dei freschi, ortofrutta in testa, tacciati – come sempre e a torto – di essere i principali responsabili dell’inflazione.
Per questo non vorrei che il comparto avesse tirato troppo presto un sospiro di sollievo per essere sfuggito al blocco programmato dei listini, per cui consiglio di monitorare con attenzione cosa succederà nelle prossime settimane, per intervenire con un programma promozionale specifico da concordare con i distributori in caso i conti non tornino. Anche per loro il problema non è da sottovalutare, considerando il margine che garantisce l’ortofrutta rispetto al grocery.