Attualità
Sfuso o confezionato, più sostenibile per chi?
Botta e risposta con Cristian Tozzi – Tozzi Frutta di Forlì
Caro Roberto,
leggendo l'articolo si capisce chiaramente che sei molto abile a fare il tuo mestiere di giornalista ma non conosci sufficientemente bene il lavoro del confezionatore della frutta. Inoltre il tuo approccio alla tematica è, secondo la mia opinione, molto superficiale.
Innanzitutto il confezionamento della frutta viene a costare 30 centesimi solo nei casi più economici ma in altri può raggiungere anche il doppio e dopo i rincari degli ultimi anni ritengo che questi siano numeri più che ottimistici. Inoltre, la collaborazione con una GDO molto attenta, esigente ed intransigente alla qualità come quella attuale, mi porta a dire con assoluta certezza che quando nelle consegne si verifica una piccola problematica, nel prodotto sfuso, se ci fosse la volontà del controllo qualità, ci sarebbe la possibilità di selezionare qualche frutto e distribuire la merce nei punti vendita, cosa che invece non succede con il prodotto confezionato e conseguentemente viene respinto al mittente. I respingimenti di merce altamente biodegradabile come la frutta fresca o la verdura, sono molto frequenti oggi giorno e la merce che circola con mezzi a gasolio, anche se refrigerati, quando torna al magazzino di confezionamento spesso è talmente deteriorata che non resta altro da fare che smaltire l'intera spedizione con costi di tempo e denaro difficilmente quantificabili per un magazzino e una liquidazione finale al produttore azzerata o addirittura in passivo!
Inoltre se la stessa merce fosse invece sul banco del supermercato e, come dici tu, a fine giornata ci fossero degli scarti stesso discorso; nel caso di prodotto sfuso è sufficiente selezionare qualche frutto guasto e via mentre nel prodotto confezionato c'è da gettare tutta la confezione quindi non solo il frutto guasto ma anche i restanti frutti buoni all'interno di essa. Se ad esempio prendiamo a riferimento semplici cestini confezionati, con all'interno 1 kg di albicocche la presenza di un solo frutto deteriorato del peso di 50g all'interno della confezione, comporta lo smaltimento dell'intera confezione compreso le restanti 19 albicocche sane restanti per una perdita di 950g di prodotto sano.
Visto che tu Roberto sei bravo a fare i conti lascio a te l'incombenza del conteggio matematico della sostenibilità di tale scelta.
Spero che queste poche informazioni che ti ho scritto ti possano sensibilizzare su alcuni problemi della filiera, oltre che far riflettere che la commercializzazione di prodotti freschi non deve essere sostenibile solo per chi la compra o per chi la vende, ma anche per chi la produce!
Con rispetto, porgo i miei più cordiali saluti
Cristian Tozzi - TOZZI FRUTTA di Forlì
Caro Cristian,
sono contento che il tema abbia destato il tuo interesse poiché mi pare cruciale per lo sviluppo del comparto. Fra i commenti ricevuti all’articolo della scorsa settimana (clicca qui per leggerlo) ho deciso di rispondere al tuo direttamente sulla rivista poiché, al di là dei sempre legittimi punti di vista, affronta un argomento che mi sta molto a cuore e che vorrei approfondire prendendo spunto dalle tue considerazioni.
Sulla superficialità che lamenti relativamente all'analisi, ti faccio osservare che questa era ben dichiarata nel testo, dove evidenziavo che “ l’analisi non può essere utilizzata per esprimere alcuna valutazione di merito sul comparto nel complesso”. Lo scopo dell’articolo era infatti aiutare a costruire una metodologia per esaminare la questione, non formulare un giudizio compiuto – che, peraltro, non mi sono permesso di dare nemmeno nel titolo - come un buon giornalista avrebbe certo fatto disponendo di una solida tesi. Malgrado l’analisi sia certo parziale, non sono però riuscito a leggere tanto di più approfondito sul tema, anzi, di numeri concreti ne ho visti ben pochi mentre ho letto fior di opinioni senza uno straccio di analisi.
La questione più importante, però, emerge quando evidenzi che la sostenibilità ci deve essere non solo per chi compra e distribuisce ma anche per chi produce. Parole sacrosante, che sposo senza riserve, ma non possiamo confondere la scarsa capacità di garantire standard di qualità da parte di chi vende o il potere contrattuale di chi compra con la sostenibilità. Quanto tu lamenti sui resi non è un problema di sostenibilità, è un problema di scadente controllo di qualità a monte e/o di gestione “ad hoc” della qualità (leggi in base alle esigenze) a valle.
È probabile che io non sia sufficientemente addentro all’operatività della logistica distributiva, come tu dici, ma non mi risulta che oggi i centri di distribuzione delle catene facciano o siano anche solo in grado di fare alcuna operazione di selezione del prodotto in ingresso, sfuso o confezionato che sia. Quello che non va ritorna al mittente anche solo per un angolare che mina la stabilità del pallet - figuriamoci togliere padelle sui bancali per sostituire i frutti non idonei - cosa che è viceversa usuale fare sullo sfuso nei punti di vendita. A questo proposito ti segnalo che i dati di confronto sulle differenze inventariali a negozio proposti riguardano il gettato complessivo dello sfuso contro quello complessivo del confezionato, anche se quest’ultimo era in parte prodotto perfetto, per cui la dimensione a quantità della differenza è corretta e tiene conto delle differenti opzioni di gestione del prodotto non conforme fra sfuso e confezionato. Se esaminiamo il profilo etico, quindi, in questi due casi si butta meno cibo con il confezionamento.
Venendo ai costi del confezionamento, siamo d’accordo, l'intorno di 30 centesimi al kg va bene per la confezione standard, ma anche questo era scritto. Per essere più precisi sul piano economico, però, occorrerebbe sapere troppe altre cose per un articolo e sarebbero comunque corrette solo per la situazione operativa in cui fosse calcolato. È certo vero che, al limite, il costo può anche raddoppiare ma è altrettanto vero che, in questo caso limite, andrebbe tenuto in considerazione anche il valore e il prezzo del prodotto messo nelle confezioni e non solo quello dello sfuso che ho usato per il confronto. Nel nostro caso il prezzo medio per le pesche passa a 3,80 al kg, 1,10 euro in più dello sfuso, e sfiora i 5 euro per le albicocche, sempre oltre 1 euro al kg in più. Una parte della differenza sarà dovuta ai costi del confezionamento ma vi sarà anche una componente merceologia, che - con questo livello di dettaglio - non possiamo appurare. Consideriamo poi che si tratta solo di due prodotti, penso che per altri, più resistenti, la situazione sia verosimilmente diversa e, altrettanto, che sia ulteriormente migliorativa per il confezionato per quelli ancor più delicati.
In conclusione, per riprendere il punto chiave che evidenziavi, ovvero la sostenibilità economica per chi produce, potrei anche non addentrami negli aspetti tecnici della sostenibilità e liquidare in modo becero la questione dicendo che più si vende meglio è. Che si sprechi o che si mangi poco importa, basta che venga pagato. Francamente, però, penso sia perdente già ora ma soprattutto in prospettiva. L’attenzione allo spreco alimentare è entrato nella nostra cultura rapidamente, spesso con raccomandazioni verosimili ma errate, che piano piano vengono smascherate da persone sempre più attente e preparate sul tema. Un tema complesso, da approfondire con onestà, lasciando da parte le logiche di bottega, cercando le soluzioni - non la soluzione - che ottimizzano i tre assi della sostenibilità, perché la cosa più semplice può anche vincere subito ma quella più efficiente vincerà nel lungo periodo. Solo su questo non ho dubbi.
Ancora grazie per la sollecitazione
A presto
Roberto Della Casa