Dal campo
NaturaSì celebra l'8 marzo con le storie delle "guardiane"
Oltre 600 le donne del circuito dell'insegna che si dedicano all'agricoltura biologica
Rosalia Caimo Duc, che ha recuperato una felce considerata estinta nelle risaie della sua azienda agricola. Ariane Lotti, che è tornata da New York per introdurre metodi innovativi per la coltivazione biologica nei suoi campi. Anna Federici, che ha rivitalizzato con l'agricoltura biodinamica 300 ettari abbandonati e aridi alle porte della Capitale. Marta Galimberti, per cui "fare la spesa è un atto rivoluzionario", che può cambiare le sorti del Pianeta. Dora Brio, che ha unito due piccoli appezzamenti ereditati dalla famiglia per superare le difficoltà di fare agricoltura nel Sud, rispettando metodi di coltivazione naturali.
Sono queste le storie che NaturaSì vuole raccontare in occasione dell'8 marzo. Storie di donne che hanno fatto scelte non scontate e le hanno portate avanti con caparbietà. Donne che ogni giorno si dedicano a una agricoltura bio, che si prende cura dei suoli, producendo cibo buono e nel rispetto dell’ambiente che ci circonda. Le storie, con il loro corredo fotografico, rappresentano quelle delle circa 600 donne che nell'ecosistema NaturaSì da anni si impegnano nella coltivazione e nella ricerca di metodi innovativi per affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, a partire dalla siccità. Vere e proprie Guardiane della Terra, oltre che imprenditrici in un settore che - mai come in questi mesi - ha espresso la necessità di riconoscere sostegno a chi garantisce non solo cibo per tutti, ma anche aria, acqua e suoli puliti.
Le storie
Rosalia Caimo Duc – Terre di Lomellina, Pavia
La ricercatrice per caso
Quello di Rosalia con il biologico non era un percorso segnato. Piuttosto un incontro del tutto casuale che però ha influenzato la sua vita rendendola una “guerriera”.
“Fare biologico – spiega - è molto più complesso che dedicarsi all’agricoltura convenzionale. Ma oggi le tecniche non mancano, è sufficiente avere la voglia e la costanza di utilizzarle. I risultati poi arrivano". Rosalia si è accorta che nelle sue risaie coltivate con metodo bio comparivano grossi quadrifogli, diversi da quelli più conosciuti. Si trattava di una sorta di felce delicata con un gambo morbido, foglie molto sottili e completamente acquatica. Rosalia era di fronte al ritorno della “Marsilea quadrifola”, pianta considerata estinta nell’areale risicolo del Piemonte e della Lombardia dopo 40 anni di uso smodato di diserbanti chimici.
Nel 2012 Rosalia viene invitata al primo convegno internazionale sulla risicoltura bio, organizzato dall'istituto francese di Montpellier per la ricerca in agricoltura. E qui, ritrovando il suo professore universitario, nasce la sua seconda passione: la ricerca. Una ricerca vissuta e testata sul campo e che Rosalia mette in rete collaborando e crescendo con le altre aziende.
Nel 2016 dà vita ad un gruppo di lavoro e ricerca che vede la partecipazione di una decina di aziende agricole biologiche della Lombardia, del Piemonte e della Toscana, dell’Università di Milano e di NaturaSì. Si tratta di un progetto di ricerca partecipata tra gli agricoltori e gli atenei chiamato “RisoBioVero” e finalizzato alla messa a punto di nuove tecniche di produzione del riso bio. “Non esiste una sola tecnica di risicoltura biologica che vada bene sempre, tutti gli anni e in qualsiasi tipo di azienda. La sensibilità dell’agricoltore bio per i precari equilibri tra le forze naturali permette di capire quale metodo utilizzare in un determinato anno e come trarre vantaggio dalle interazioni tra gli esseri viventi presenti nella risaia stessa. La biodiversità rappresenta una potenzialità enorme per agricoltori sensibili”, conclude.
Anna Federici - Solaria azienda agricola Boccea Roma
L’amante del suolo
Quella di Anna è una storia davvero insolita, quella di una donna che – dopo aver studiato Agraria in America – all'inizio degli anni 80 torna in Italia e rileva un’azienda di famiglia. Non un’azienda qualsiasi ma ben 300 ettari di terreno alle porte della Capitale che in passato erano stati dimora di un centinaio di famiglie ma che, con la morte del nonno, erano stati abbandonati e versavano in uno stato di totale incuria. E proprio dal Texas porta con sé un bagaglio di conoscenza tale da farle compiere una vera e propria rivoluzione culturale, convertendo con il tempo i suoi terreni in quello che oggi è un vero e proprio modello produttivo e un esempio di recupero del suolo in prossimità di una metropoli. "Il mondo universitario statunitense ti dà una formazione molto avanzata. E soprattutto attenta al suolo e alla biodiversità”.
“Quando sono tornata dal Texas e ho iniziato a coltivare direttamente i campi, ho trovato i terreni impoveriti di sostanza organica. La conversione al biodinamico è stata l’unica soluzione possibile perché ti offre una visione organica dell’agricoltura in cui la tua azienda è un ecosistema vivo ma antropizzato dove va trovata una mediazione tra uomo e natura”.
Il processo per ricostruire la fertilità dei suoli è lento e lungo, ma nel 2012 si vedono i primi risultati. “La mia forza – conclude Anna – è stata anche la mia squadra fatta in gran parte di donne disposte a cambiare mentalità, a pensare l’agricoltura come riscoperta della conoscenza”.
Marta Galimberti - Cascina Bagaggera, La Valletta Brianza – Lecco
Al centro l’individuo
Cascina Bagaggera è una fattoria biologica sociale situata nel cuore del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone della Brianza Lecchese. Una realtà che Marta ha fortemente voluto per unire uomo e natura in un rapporto di totale armonia. Ecco perché la sua azienda ha tra i suoi obiettivi l’inclusione lavorativa di persone svantaggiate all’interno dei processi produttivi. “Amo definire il nostro un progetto ‘variegato’ che punta alla sostenibilità ambientale, etica e sociale”, dice Marta che ricorda come nella sua azienda – dove l’attività principale è l’allevamento di capre camosciate - si pratichino nuove e antiche tecniche di lavorazione. “Ci prendiamo cura delle nostre capre assecondando le loro esigenze naturali: dalla giusta alimentazione fino al pascolo e alla pausa invernale, senza destagionalizzare i parti.” Una pratica innovativa per cui “il nostro allevamento è scelto da anni per tesi universitarie e stage di studenti dei corsi di Scienze agrarie e di Benessere animale”, racconta. Tutto profuma di qualità, insomma. Anche la scelta di mettere al centro l’individuo sia con l’attenzione alle realtà più fragili sia con il coinvolgimento del consumatore “che deve essere parte attiva dell’azienda”, dice Marta, “perché fare la spesa è un atto rivoluzionario. È importante capire cosa sto finanziando quando compro un prodotto”.
Oggi accanto all’offerta sociale dell’Agrinido (un servizio educativo per i bambini dai 6 mesi ai 3 anni), prima realtà di questo genere in Brianza, in Cascina vengono seguiti progetti di orientamento e formazione al lavoro per giovani con disabilità. In dieci anni Bagaggera ha contribuito a ospitare e affiancare oltre 60 percorsi di formazione proponendo progetti innovativi sia di lavoro che di cultura aziendale dell’inclusione.
Dora Brio - Brio Mazziotta, Montecaglioso (Matera) (nella foto in apertura)
Volevo cambiare vita
Siamo sull’altopiano della costa ionica lucana, in Basilicata. Qui c’è una piccola azienda di eccellenza che ha deciso di praticare alla sua agricoltura il metodo biodinamico. Una scelta di Dora e del marito Francesco che, dopo aver ereditato ciascuno un pezzetto di terra, decidono di cambiare vita. “La cosa bella è che i terreni ereditati erano vicini tra loro ed entrambi sentivamo il bisogno di modificare qualcosa nella nostra quotidianità. Del resto non siamo stati mai due tipi convenzionali”, racconta Dora. La scelta inevitabilmente va subito nella direzione del biologico: è il 1996 e nasce Brio Mazziotta con l’obiettivo di produrre cibo sano rispettando la natura.
“All’inizio, continua Dora, non è stato per nulla facile, non sai bene come rendere fertile un terreno”. Il biologico è in primis rispetto della terra e della sua vitalità. Perché solo nella salvaguardia della sua fertilità puoi pensare che la terra cresca e produca i suoi frutti”.
Dopo raccolti miseri, con il tempo e la perseveranza arrivano i primi risultati. “In questi anni i momenti di difficoltà non sono mancati: i più critici sono stati quelli legati agli eventi climatici avversi, superati grazie alla nostra grande forza d'animo. Ora – conclude - posso dire però che non è difficile, è solo più impegnativo”. Oggi anche il figlio di Dora e Francesco lavora in azienda. Un’azienda che produce ortaggi e i cui campi sono suddivisi tra ulivi, agrumeti e frutteti.
Ariane Lotti – Azienda agricola Tenuta San Carlo, Grosseto
Agricoltrice di successo
Prima e unica agricoltrice in Toscana a coltivare riso biologico attraverso due tecniche sperimentali come quella basata sulla copertura vegetale con pacciamatura. Ariane è una giovane in carriera, se con questo intendiamo una donna che è riuscita a realizzarsi tramite il suo lavoro. Ancor di più se questo corrisponde con la sua passione. “Al liceo il successo coincideva con il diventare dottore o avvocato. Io ho capito, durante un programma di studi ambientali, che il mio amore per la protezione della natura poteva diventare la mia carriera”.
Nata e vissuta a New York, ha dedicato la sua vita a lavorare su modelli di produzione alimentare sostenibile. La sua carriera nell'agricoltura biologica l'ha portata nelle grandi città, nelle arene politiche, nelle riserve naturali, nelle fattorie e, infine, a Grosseto dove è responsabile dell'azienda agricola familiare della Tenuta San Carlo. Una tenuta a vocazione cerealicola estesa su una superficie complessiva di 480 ettari in cui ha avviato un percorso di modernizzazione e sviluppo dell’impresa puntando sul riso biologico, prima e unica in Toscana.
"Ho scelto il bio perché coltivare in sinergia con la natura è più facile che combatterci contro. Inoltre la ricerca su sistemi agro-ecologici dimostra che sono i più resilienti ai repentini cambiamenti climatici”, spiega.
Per diminuire il consumo dell’acqua nella coltivazione di riso e migliorare la qualità del prodotto Ariane ha sperimentando due tecniche innovative. La prima è una tecnica di precisione per la gestione idrica. L’altra è stata sviluppata da risicoltori biologici del Nord Italia e quindi riadattata al clima maremmano. Una tecnica rivoluzionaria perché permette di fare la maggior parte delle lavorazioni in autunno, quando normalmente gli agricoltori hanno più tempo. “La prospettiva è ottenere una resa produttiva maggiore del 10% e con molte meno infestanti”, commenta.
“Dico alle donne di non mollare perché stanno contribuendo anche loro all'economia e al sostentamento rurali. La cosa più bella che ho sentito dire di me? Che il mio riso sa di riso".(gc)
Foto apertura: credits Viola Damiani
Fonte: Ufficio Stampa NaturaSì