Il meglio di IFN
«Il gusto dovrebbe essere l'ossessione di tutti»
Mazzini (Ortofrutta Italia) interviene sul grado Brix garantito
Caro Direttore,
Ho pensato molto se scrivere queste righe, vista la situazione drammatica che ha colpito la nostra regione, ma alcune delle considerazioni che hai fatto attengono al futuro del nostro settore e ritengo vadano rafforzate con un punto di vista “di filiera”.
Partiamo dalle evidenze: i consumi di frutta e verdura flettono oramai da anni, negli ultimi 18 mesi il trend si è accelerato per via dell’inflazione ma, anche negli anni deflattivi, i volumi non erano positivi. Le rese per ettaro sono mediamente cresciute in tutte le specie a scapito della qualità e i prodotti di qualità sono tutti brevetti, club o peggio, come nel caso dei kiwi, ormai coltivati dai produttori italiani per conto (se fossimo in zootecnia direi “da soccidari”).
Dal 2015 ripeto in maniera ossessiva in tutti gli eventi che questo è il vero problema; ricordo che in uno dei primi convegni, commentando il livello di efficienza raggiunto dalla filiera, coniai il neologismo flusso teso “Merd- in Merd-out”, suscitando ilarità ma mi pare ancora poca consapevolezza. Se ciò che esce dal campo è di cattiva qualità, quello che andremo a lavorare, confezionare, distribuire e, infine, vendere sarà di bassa qualità, certo in maniera efficiente, ma appunto fluidi organici.
Peraltro, trattandosi di prodotti alimentari, il gusto prima che il resto dovrebbe essere l’ossessione di tutti. La questione che poni del grado Brix minimo sarebbe facilmente superabile se all’interno dell’interprofessione si potessero definire regole “erga omens”, ovvero per tutti, minime, sotto le quali il prodotto non può andare al consumo fresco. Quando ci si è provato (proprio nel caso kiwi), fu proprio la produzione a non accettare regole più restrittive, ponendo una questione di presunta perdita di competitività, perché le regole non erano applicabili al prodotto di importazione! Risultato, il kiwi buono l’Italia lo produce sotto licenza altrui (e lo vende all’estero) e le importazioni da paesi terzi sono comunque cresciute. Come perdere una finale ai mondiali per due autogol: come minimo allenatore e difesa sarebbero da cambiare.
Il prezzo minimo dovrebbe essere accompagnato dall’"obbligatorietà degli acquisti", questa tua provocazione spero faccia riflettere tutti, nessuno escluso. Perché in assenza di quest’obbligo ogni limitazione alla libera concorrenza sarà un boomerang; non si può pensare che un consumatore paghi per un prodotto al limite del commestibile, ma soprattutto la rincorsa verso il basso non avrà limite e, qualcuno, che produrrà prodotto di bassa qualità, ad un costo di produzione certificato, inferiore e conforme al DL 198 ci sarà di sicuro. Quindi prepariamoci al terzo autogol!
Da questa riflessione non escludo nessuno; quando vedo che alcuni colleghi, nei loro marchi premium, che non rimangono mai senza prodotto, mentre noi, se non ha le caratteristiche giuste, pur consapevoli di perdere vendite, quel vestito non lo mettiamo - perché significherebbe tradire le attese del consumatore - mi rendo conto che prima del Re-marketing (che condivido) serve un ritorno ai fondamentali. Se no rassegniamoci a dare alle acque minerali il ruolo di custodi della salute
Come ho avuto modo di dire anche recentemente a Macfrut, in un evento sul ruolo dell’IGP come elemento di garanzia e differenziazione, creare una marca rende il prodotto “memorabile” quindi “contrassegnato da eccezionalità, il cui ricordo è destinato a durare nel tempo; indimenticabile”. Tornando a flusso teso di cui sopra, il ricordo e il suo essere indimenticabile sarà direttamente proporzionale alla sua qualità. Se no, parafrasando un famoso film degli anni 80, arriviamo a “Sotto il vestito niente”.
Consapevole che quanto scritto sarà accolto con un sorriso - di sufficienza - da parte di molti , ti ringrazio per lo spazio.
Claudio Mazzini - Vicepresidente Ortofrutta Italia
Caro Claudio, intanto grazie per il contributo. Mi rendo conto anche io che il momento è difficile e che chiedere sacrifici in questa situazione può essere impopolare ma, purtroppo, non ci sono scorciatoie. Ben presto i responsabili acquisti si dimenticheranno delle difficoltà dei nostri ortofrutticoltori e, con quanto siamo in grado di mettere sul mercato con questo assetto produttivo, i consumi non potranno che continuare a contrarsi. Cambiare curva dell'esperienza è però possibile se sapremo modificare l'approccio; i presupposti non mancano. Fino agli anni ‘80 il “vino della casa” era sinonimo di qualità e genuinità, oggi è l’esatto opposto e, al massimo, i ristoranti si fanno imbottigliare qualche monovitigno di pregio con il loro nome. Anche la frutta del contadino era il top della qualità di allora; la differenza è che, viceversa, il concetto oggi non è ancora cambiato.
Roberto Della Casa