L’autoradicato salverà l’Abate Fétel?

La terza scelta fino a ieri sarà la prima da domani?

L’autoradicato salverà l’Abate Fétel?

Qual è il portinnesto ideale per un pereto di Abate Fétel? Fino a pochi anni fa la risposta sarebbe stata semplice: il cotogno è la prima scelta e, se proprio non sussistono le condizioni, legate in particolar modo all’elevato contenuto di calcare nel terreno, si ripiega sul franco oppure su autoradicato. D’altronde il cotogno riduce la vigoria, migliora l’induzione a fiore e garantisce una rapida entrata in produzione, a differenza dei portinnesti franchi e dell’autoradicato che aumentano notevolmente la vigoria della pianta rallentandone, quindi, la fruttificazione.

Un’impostazione che nelle ultime annate è stata messa in discussione dal crollo produttivo degli impianti di Abate Fétel innestati su cotogno. Oramai, è parer comune, che la scarsa vigoria indotta da questo portinnesto si stia rilevando un limite nei confronti di un clima sempre più caldo e di una pressione fito-patologica sempre più forte. Al contrario, la rusticità dei portinnesti più vigorosi si sta dimostrando un’arma vincente.

Per capire le effettive potenzialità di un impianto di Abate Fétel con piede autoradicato siamo stati ospitati dall’azienda agricola Tazzari di Masiera di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna: “Nel 2013 – spiega Davide Tazzari – abbiamo messo a dimora un ettaro e mezzo di Abate Fétel su autoradicato, con un sesto di impianto di 4 metri tra le file e 2 metri sulla fila, per una densità di piantagione pari a 1.250 alb/ha. Il pereto è dotato di rete antigrandine e di irrigazione a goccia ed è coltivato secondo il disciplinare di lotta integrata”. 

Un esempio di taglio ad incisione, alternato alla base del tronco

Appena entrati nel pereto si nota la “forza” dei peri che svettano rigogliosi fino a 5 metri di altezza, ed è ancora più interessante come la fruttificazione sia uniforme su tutta la pianta: “È fondamentale gestire la potatura con estrema attenzione, avendo la premura di rinnovare le branchette produttive soprattutto nella parte bassa della pianta. Un’altra pratica, che ritengo sia molto importante per gestire gli eccessi di vigoria, è il taglio ad incisione, alternato alla base del tronco. In questo modo facilitiamo l’equilibrio vegeto-produttivo della pianta. Difatti, raccogliamo in media fra 40-45 tonnellate/ettaro, dei quali l’80% è della classe di calibro 65+”.

I numeri snocciolati da Davide Tazzari sono ragguardevoli, soprattutto se si considera che la media produttiva di Abate Fétel in Emilia-Romagna è ben al di sotto di 30 tonnellate/ettaro. “Non possiamo lamentarci, soprattutto se si considera tutti gli eventi meteo estremi che ci hanno colpito: tre gelate in 4 anni, vento forte e allagamenti che comunque non hanno minato la capacità produttiva dell’impianto. L’unica criticità è che prima di 4 anni non si entra in produzione che, però, viene compensata dalla longevità di questo sistema produttivo che è superiore a 25 anni”.

Per quanto riguarda la difesa, il produttore ci spiega che fino ad ora non ha avuto attacchi preoccupanti di Maculatura bruna e nemmeno di cimice asiatica; lo spauracchio in questo caso è la Psilla: “Negli ultimi anni è divenuto un patogeno difficile da contenere, ma tutto sommato riusciamo a limitare i danni”.

Ascoltare un pericoltore ottimista e soddisfatto è merce rara al giorno d’oggi ed è lecito chiedersi se l’Abate Fétel su autoradicato possa essere la soluzione ad un settore in difficoltà. Difficile rispondere, ma certamente vale la pena testare questo sistema anche negli altri areali produttivi.