Dalla distribuzione
Ccpb: l’importanza del Residuo 0 e del Nichel free nell’ortofrutta
Vincenzo Arra: «Certificazioni che ampliano la scelta dei consumatori»
Consumatori più consapevoli ed esigenti nei reparti ortofrutta. Così la filiera, dal produttore alle insegne della Gdo, si impegna per offrire dei prodotti che sposino le esigenze del consumatore, sia in termini organolettici che sanitari ma anche valoriali. Un mezzo per dare garanzie ai produttori sono le certificazioni, come Residuo 0 e Nichel Free. Ma spesso, anche tra gli addetti ai lavori, le idee non sono proprio chiare tra una certificazione e un’altra. IFN, con Ccpb, organismo di ispezione e certificazione con sede a Bologna e tra i più importanti in Italia nel settore della produzione biologica, eco-compatibile ed eco-sostenibile vuole approfondire le certificazioni Residuo 0 e Nichel Free. A spiegarci tutto nel dettaglio ci pensa Vincenzo Arra - Ufficio Certificazioni di Prodotto Ccpb.
Residuo 0
“Fondamentale chiarire che il Residuo 0 è una certificazione volontaria, non è regolamentata da standard nazionali o internazionali. Quindi gli organismi di certificazioni creano un proprio disciplinare con dei parametri propri. Per noi di Ccpb Residuo 0 significa avere il limite di 0,01 mg/kg, al di sotto del quale una sostanza, come un fitofarmaco, può essere considerato sul piano pratico assente”.
Differenza con il Biologico
“Il Residuo 0 e il biologico sono differenti: il primo è una certificazione di prodotto basata essenzialmente sull’applicazione dei disciplinari di produzione integrata con l’obiettivo di utilizzare i fitofarmaci di sintesi e non in modo da azzerare i loro residui sui prodotti che saranno raccolti, il bio è una certificazione di processo che, sostanzialmente, vieta l’utilizzo dei fitofarmaci di sintesi. Possiamo dire che il Residuo 0 è una tematica strettamente alimentare e dimostra la virtuosità dell’azienda nell’utilizzo dei fitofarmaci. Il biologico ha degli orizzonti più ampi che comprende anche l’impatto ambientale, la fertilità del terreno, e si rivolge anche alla sfera valoriale del consumatore”.
“Per il Residuo 0 - spiega Arra - non facciamo un’analisi multi-residuale semplice ma ricerchiamo circa 600 molecole. Noi certifichiamo il Residuo 0 da circa 20 anni ma dal 2014 è partito il vero interesse, quando la Gdo ha iniziato a parlarne. Ancora possiamo definirla una certificazione di nicchia, sono una quarantina le aziende certificate ma il numero crescerà”.
Nichel Free
“La certificazione Nichel Free è ancor più di nicchia perché ci si rivolge prevalentemente a consumatori che hanno esigenze particolari nella dieta. Il Nichel è un metallo pesante molto diffuso in natura; è presente in tracce negli alimenti, nei vegetali, nei cosmetici, nei tessuti e, addirittura, nell’acqua. Quindi, facendo prove, negli anni abbiamo notato la presenza costante nel suolo di nichel e, soprattutto, nelle produzioni di pomodoro. Quindi, solo chi coltiva su substrato inerte, come fibra di Cocco, può ottenere la certificazione. Ma in ogni caso prima si devono eseguire analisi dei rischi per valutare se ci sono potenziali contaminazioni da input esterni anche nel fuori-suolo”.
“Abbiamo notato che gli intolleranti non manifestano sintomatologie al di sotto di 0,04mg/kg ma noi di Ccpb ci siamo imposti il limite di 0,01mg/Kg, che è attualmente il limite di quantificazione più basso da parte dei laboratori che collaborano con noi. La certificazione Nichel Free è nata da richieste dei produttori che si sono sensibilizzati sul tema, a seguito della domanda da parte di molti consumatori sensibili o allergici al Nichel e per i quali la nostra certificazione garantisce l’assenza analitica. Certifichiamo circa una trentina di aziende, soprattutto al Sud Italia: Puglia e Sicilia la fanno da padrone”.