Alle pesche di Romagna IGP serve un cambio di passo

L’accorato appello del Prof. Bassi per risollevare il comparto

Alle pesche di Romagna IGP serve un cambio di passo

Caro dott. Pattuelli, 
ho letto la Sua puntuale ed esaustiva nota sulla presentazione fatta qualche girono fa a Cesenatico della campagna di promozione della Pesca e nettarina di Romagna IGP, (clicca qui per approfondire) ma mi restano alcune perplessità.
Lei riporta 1.000 ha certificati a Igp e pur stimando una bassa resa media (diciamo 30 tonn/ha), ci sarebbero 30.000 tonnellate di frutti Igp in commercio (mediamente) all'anno (che potrebbero arrivare anche a 40.000 se consideriamo le rese ammesse per le tardive). Resta da capire dove questi frutti siano, perché il consumatore medio non ne vede traccia: a chi scrive risultano numeri ben più bassi, in ogni caso l’altro giorno ero presente a Cesenatico, non mi pare che i dati siano stati forniti (ma potrebbe essermi sfuggito).
Pur avendo molto apprezzato l'intervento finale del direttore Mazzotti, che ha stimolato i produttori ad adottare una autoregolamentazione più stringente al loro interno riguardo ai criteri di qualità, le esperienze passate (e presenti ) non inducono grandi speranze: alcune cifre a seguire, prese dal regolamento dell'Igp
Si indicano rese massime variabili dai 350 quintali (precoci) ai 500 quintali per ha (per le tardive): sfido chiunque fare 'qualità' con queste rese!
Certo, se per qualità si intendo i 9,5 Brix per le precoci ed 11Brix  (minimi ammessi) per le tardive, forse ce la possiamo fare, però con questi Brix, i cetrioli sono un forte concorrente! Rimarco che le attuali varietà disponibili sul mercato, con idonee tecniche produttive, possono garantire 15 Brix, a fronte di rese più che rispettabili.
Per non parlare delle oltre 160 cultivar ammesse, credo un vero record: so che la Regione si è molto battuta per ridurre tale numero, ma io la considero una sconfitta, innanzitutto del buon senso: chi potrà assicurare standard omogenei di qualità con questo zibaldone varietale costituito da frutti di diversissime caratteristiche organolettiche?
E niente mi toglie dalla testa che i produttori interessati siano stati ben felice di 'rovesciare' tutto il loro vetusto catasto frutticolo nel regolamento dell'Igp! Questo almeno è la sconsolante impressione di chi osserva, tristemente, da fuori.
Questi numeri sono impietosi ed offrono uno sconcertante quadro di un settore votato al suicidio, incapace di autoregolamentarsi e molto pronto a chiedere l'intervento pubblico per coprire la propria incapacità. 
Dopo il naufragio del pero (dove i disastri del recente passato hanno indotto la Regione a 'commissariare' i produttori, pena la chiusura dei rubinetti), siamo pronti ad assistere a quello del pesco: le premesse ci sono tutte.
Perché se questi sono i parametri di quella che dovrebbe essere una Denominazione che assicura la  qualità, che cosa ci possiamo aspettare dalla restante produzione?
Ci resta solo da sperare che Zespri, dopo averci trasformato (col nostro consenso) nei suoi mezzadri per il kiwi (con tutto il rispetto per una gloriosa, ma ormai storica, figura di agricoltore), non volga lo sguardo anche alla frutta estiva!
C'è ancora tanto lavoro  da fare!
Daniele Bassi

Caro Daniele, 
ho letto con attenzione le tue considerazioni sul nostro resoconto della presentazione delle attività di comunicazione della Pesca e Nettarina di Romagna IGP, con l'accorato e, permettimi, sentito appello al comparto per una profonda sterzata che lavori dalla base per far diventare più competitiva e forte l’offerta e permetta, così, di rendere più efficaci anche le attività di comunicazione.
Parto dalla prima considerazione che fai sulla produzione che dovremmo trovare in commercio visto il migliaio di ettari coinvolti nell’Igp. Oggi si certifica per la vendita ciò che il mercato (leggi prevalentemente Gdo) chiede, neanche accetta, perché certificare costa e se non viene riconosciuto il differenziale nel prezzo di acquisto, nessuno consegna prodotto certificato. 
La decina di imprese, fra Op e commerciali, che partecipa alla valorizzazione del prodotto non può permettersi peggiori risultati sul prodotto certificato, che si tradurrebbero in minori liquidazioni e, quindi, minor attrattività verso i soci. Se non si arriverà a una sorta di UNAPesca, sul modello di quanto si è fatto per la pera, che sposi l’Igp come strategia dell’Aop, costruire una politica commerciale attiva sull’Igp sarà molto difficile e tutto dipenderà dalle strategie di chi governa il mercato al consumo.
Superato questo scoglio, i problemi che tu indichi: eccesso di varietà e parametri qualitativi minimi insufficienti sono superabili senza il ricorso a modifiche del disciplinare, come ricordava anche Valtiero Mazzotti. Basta guardare quanto ha fatto il Parmigiano Reggiano, la Dop per eccellenza, che ha segmentato le differenti stagionature, il parametro di qualità più seguito al consumo, sulla base di un Regolamento interno del Consorzio di Tutela.
In realtà, quindi, è sufficiente decidere quanto si vuole essere protagonisti. 
Un caro saluto, 
Roberto Della Casa

 (am)

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