I meloni sono buoni, ma chi lo spiega al consumatore?

La filiera sta facendo progressi, ma occorre una comunicazione più incisiva in reparto

I meloni sono buoni, ma chi lo spiega al consumatore?

Negli ultimi anni la filiera del melone si è focalizzata nel migliorare la qualità organolettica che arriva sulle tavole degli italiani. Un mantra che è stato ribadito anche nell’ultima diretta di IFN (clicca qui per approfondire) e che evidenzia come ogni singolo attore abbia un ruolo determinante per raggiungere questo obiettivo.

In prima battuta il miglioramento genetico deve selezionare varietà di ottimo sapore, sapientemente coltivate dal produttore, e, infine, valorizzate dal distributore. Questa è in estrema sintesi come dovrebbe lavorare la filiera melonicola –ma è così per tutti i prodotti ortofrutticoli – ed oggi vorrei concentrarmi su quello che a nostro avviso è il punto debole da migliorare per il prodotto in questione: la valorizzazione in reparto.

Oramai avrete compreso che la comunicazione in reparto è un nostro “pallino”, perché crediamo sia uno degli elementi più determinanti per sostenere le vendite – soprattutto per i prodotti di alta gamma – ma allo stesso tempo fra i più sottovalutati.

Per spezzare una lancia nei confronti dei distributori, si può sicuramente affermare che il tema è particolarmente complesso, perché all’interno di un reparto caratterizzato da una moltitudine di referenze, per giunta in continua evoluzione con il susseguirsi delle stagioni, non è certamente semplice catturare l’attenzione di un consumatore che ha l’obiettivo di concludere gli acquisti nel minor tempo possibile.

Tuttavia, questo non giustifica un certo lassismo in termini di comunicazione che si osserva nella maggioranza dei negozi che rileviamo periodicamente. Come sempre, si sottolinea il prezzo, soprattutto se in offerta, ma per il resto poco o nulla. 
E dire che ce ne sarebbero di cose da raccontare. Per esempio: è un melone maturo? O è meglio mangiarlo fra qualche giorno? Che differenza c’è fra un liscio e un retato? E cosa cambia dalla polpa bianca di un gialletto/Piel de sapo rispetto al classico aranciato del retato/liscio? C’è una tipologia, che più delle altre, è consigliata per l’abbinamento col prosciutto?

Questi appena citati sono solo alcuni esempi, ma ce ne sarebbero tanti altri. Il punto è che gli assortimenti si stanno evolvendo grazie all’introduzione di nuove tipologie varietali e alla segmentazione verso l’alto di gamma e, quindi, si sta alzando ulteriormente l’asticella. Ben venga questo dinamismo, ma chi spiega al consumatore questa ondata di novità? Evidentemente nessuno, perché si continuano a vedere clienti che “sniffano” i meloni nel tentativo di capirne il grado di bontà, senza dimenticare i “bussatori” di angurie, tanto per fare paragoni fra categorie simili. Probabilmente la comunicazione non eliminerà questi vizi, ma senza dubbio può indirizzare e rassicurare un cliente che si aggrappa letteralmente ai 5 sensi nel tentativo di non commettere errori.(gc)

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