Dal campo
Melicoltura altoatesina del futuro: apparati radicali profondi e sensori idrici
«A causa del cambiamento climatico non potremo più contare sull'acqua dei ghiacciai»
Il 2023 è stato l’anno in cui le conseguenze del cambiamento climatico hanno portato il mondo agricolo a porsi con convinzione domande per affrontare un futuro sempre più ostico. Anche in Alto-Adige le temperature estreme e la carenza di risorse idriche stanno sollecitando la ricerca a trovare delle soluzioni da attuare in campo.
Massimo Tagliavini, professore della Facoltà di Scienze agrarie, ambientali e alimentari (unibz) e il biologo Georg Niedrist (Eurac Research) provano a prevedere quelli che potrebbe essere gli scenari per l’areale altoatesino – come riporta il magazine del centro di ricerca Eurac. Come spiega Tagliavini il fattore più critico è sicuramente l’aumento della temperatura: “nonostante il clima non sia mai stato uguale di stagione in stagione però c’era una media e una variabilità minima; adesso, la variabilità è aumentata e gli eventi catastrofali sono diventati una costante con abbassamenti termici improvvisi e molto severi o ondate di calore che si verificano con maggiore frequenza”.
“Queste oscillazioni repentine di temperatura – spiega Niedrist – per le mele sono nefaste in termini di quantità e qualità del raccolto. La carenza d’acqua è un problema cruciale; in inverno c’è sempre meno neve e l’evaporazione aumenta del 5-15% a causa proprio delle temperature più alte. Le riserve idriche, che abbiamo utilizzato per l'irrigazione e la produzione di energia elettrica negli ultimi 50-60 anni, non saranno più disponibili nella stessa misura. Tra qualche decennio l'agricoltura altoatesina non potrà più contare sull'acqua dei ghiacciai”.
“Il melo ha portinnesti con radici superficiali e questo aumenta la dipendenza della pianta all’irrigazione o alla pioggia. Dunque, in futuro dovremmo valutare piante con apparati radicali più profondi", precisa Tagliavini. Il Centro di Sperimentazione Laimburg sta già conducendo ricerche in questa direzione e assumono maggiore importanza contro la siccità anche le reti antigrandine, in quanto riducono l'evaporazione di circa il 20%.
Ma la domanda che si pongono i ricercatori è individuare quale sia il limite di stress idrico da non oltrepassare per non inficiare la qualità delle mele. Per definire questo limite si potrebbero utilizzare sensori atti a definire con esattezza il momento in cui l’irrigazione diventa necessaria.
Tutte queste ipotesi ancora non sono attuabili perché l’areale altoatesino è troppo legato ad un’irrigazione intensiva forse dettata anche da un costo minimo dell’acqua.
“Non dimentichiamoci che le crisi hanno attivato il progresso – puntualizza Tagliavini – per questo dobbiamo affidarci alla ricerca: la genetica avrà un ruolo fondamentale per sviluppare soluzioni innovative. Oppure si possono adottare anche tecniche agronomiche passate: per le scottature solari del frutto potremmo adottare alberi con chiome più dense per aumentare l’ombreggiamento. Basti pensare che, se la temperatura dell'aria è di circa 40 gradi, il frutto può raggiungerne anche i 50. Io credo che l’asso nella manica sarà il miglioramento genetico per ottenere dei frutti con tutte le caratteristiche desiderate dalla filiera”.
“Infine, consideriamo che adottare nuove tecniche ha costi elevati che vanno a ripercuotersi sul costo prodotto finale. E nella frutticoltura già adesso abbiamo il grande problema che i margini di profitto si riducono sempre di più. Attualmente, però, dobbiamo fornire risposte di rapida applicazione anche se la scienza ha anche il compito di guardare a un orizzonte temporale diverso proiettandosi nel futuro”, conclude Niedrist.