Dal campo
Pomodoro cinese, Italia principale importatore
Quando il concentrato puzza di sfruttamento ai danni di lavoratori e ambiente
Difficile da credere ma in Italia, ogni anno, arriva una valanga di pomodoro cinese: addirittura il Bel Paese è il principale importatore di merce proveniente dalla regione dello Xinjiang, areale della Cina a forte vocazione agricola per la produzione di cotone e pomodoro. In questa parte del mondo vengono prodotti un quarto dei pomodori del pianeta, un’attività che – come riportato a più riprese dalla stampa internazionale – nasconde lo sfruttamento di migliaia di lavoratori e dell’ambiente.
Questa regione cinese ha esportato nei primi mesi del 2022 oltre 290.000 tonnellate di concentrato di pomodoro e quasi il 20% del prodotto è stato assorbito dal nostro Paese. Apparentemente nulla di strano, visto che l’Italia, essendo tra i principali player agroalimentari, è anche un attivo importatore.
Allora cos’è che fa storcere il naso? Come mai, nelle migliaia di conserve e trasformati che troviamo sugli scaffali dei supermercati, non troviamo mai l’origine Cina? Ecco che qui vengono i nodi al pettine.
Sfruttamento e concentrato di pomodoro fantasma. Il pomodoro cinese arriva in Italia sottoforma di concentrato in fusti e viene, successivamente, ritrasformato e per magia l’origine della materia prima viene avvolta dal mistero. Dunque, per i consumatori è impossibile risalire all’origine esatta della merce.
La mancanza di trasparenza è diventata un problema, molte aziende importatrici assicurano che viene lavorato e destinato all’esportazione ma i fatti e le diverse indagini appurano che succede anche altro. Nel 2021, per esempio, un colosso della trasformazione si è visto sequestrare 4.000 tonnellate di conserve etichettate come italiane, ma di origine cinese.
Il potenziale produttivo dello Xinjiang non nasce esclusivamente dalle condizioni pedoclimatiche ma soprattutto dell’infinità di “lavoratori” che vengono impiegati.
Il problema dell’importazione del prodotto cinese affonda le proprie radici nello sfruttamento della forza lavoro in quell’area della Cina dove le minoranze di etnia Uigura vengono deportate e messe a lavorare in campagna per limitare i costi di produzione.
Tra le diverse aziende che si occupano dell’esportazione quella di maggiore rilievo è Cofco Tunhe azienda sotto controllo statale che possiede distese infinite di appezzamenti e 15 stabilimenti produttivi.
Tra i lavoratori impiegati da Cofco Tunhe ce ne sono anche di origine uigura: il governo di Pechino giustifica la loro presenza come manodopera inserita all’interno di un progetto che prevede la riduzione della povertà e la promozione dell’unità nazionale. Le notizie che trapelano dalle campagne cinesi non sono però così rassicuranti, siamo sicuri che comprare pomodoro cinese sia davvero sostenibile?