Dal campo
Undicesimo: aumenta la biodiversità
Dai semi del passato al futuro dell’agricoltura, uno studio dell’Università di Bari
Prima del 1986 il termine biodiversità non esisteva e solo nel 2022 la biodiversità (con l’ambiente) è entrata nella Costituzione italiana (nei 12 principi fondamentali). Adriano Didonna e Pietro Santamaria, dottorando e docente dell’Università di Bari, riflettono sull’importanza dell’agrobiodiversità in un articolo, fresco di stampa, contenuto nell’ultimo numero della rivista International Journal of Vegetable Science.
Dalla consultazione delle Carte costituzionali di 196 Paesi è emerso che solo in 21 è presente il termine “biodiversità” (solo la Finlandia e l’Italia tra i Paesi dell’UE). Del resto, in un’indagine dell’Eurobarometro di qualche anno fa è emerso che la maggior parte dei 27.643 europei intervistati non aveva sentito parlare di biodiversità o non sapeva cosa significa.
Eppure l’Unione Europea si è impegnata a perseguire i 17 Obiettivi del programma d’azione Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, adottata nel 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite e sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
I due autori baresi segnalano che, per le specie più importanti coltivate in Europa, dal 1972 la Comunità europea ha adottato i Cataloghi comuni delle varietà delle specie vegetali, dove vengono iscritte le varietà adatte alle condizioni ambientali di ciascun Paese che abbiano dimostrato caratteristiche di pregio in particolari centri di sperimentazione. Questa registrazione è essenziale affinché i semi di una varietà possano essere commercializzati. Però, nonostante i Paesi più importanti in Europa per la coltivazione e produzione di ortaggi siano Italia e Spagna (con oltre il 40% del totale), è l’Olanda ad aver registrato il numero maggiore di varietà orticole (8.552 varietà, ovvero più di un terzo delle varietà inserite nel Catalogo comune delle varietà delle specie di ortaggi), nonostante la superficie coltivata ad ortaggi in Olanda rappresenti appena il 3% di quella Europea. Italia e Spagna, invece, hanno iscritto, in media, il 9% delle varietà orticole. Questi dati rispecchiano una realtà preoccupante: nella maggior parte dei Paesi europei sono coltivate varietà selezionate in altri luoghi.
Inoltre, nel 1998 l’Unione Europea si pose l’obiettivo di rendere più flessibile i Cataloghi comuni delle varietà e di mitigare il declino della biodiversità agricola introducendo il Regime delle Varietà da Conservazione (CVR): un insieme di regole relative alle varietà locali e/o tradizionali a rischio di erosione genetica e coltivate in aree specifiche. In un precedente articolo, gli stessi Autori, hanno esaminato l’impatto dell’istituzione del CVR 25 anni dopo la sua prima definizione riscontrando appena 191 Varietà da conservazione di specie orticole (che rappresentano solo lo 0,88% del numero totale di varietà incluse nel Catalogo comune).
Nell’ultima parte dell’articolo vengono segnalati esempi di successo di varietà locali di ortaggi pugliesi (in particolare quelli della ‘Carota di Polignano’ e dello ‘Scopatizzo’) per sottolineare il ruolo degli agricoltori nell’attività di selezione. Infine, Didonna e Santamaria segnalano il ruolo e la responsabilità dei ricercatori dichiarando che «svolgendo una funzione pubblica, dobbiamo attenerci al principio costituzionale fondamentale della tutela dell’ambiente e della biodiversità».
Il grosso del lavoro che attualmente impegna le istituzioni pubbliche è la salvaguardia della biodiversità. Invece, Didonna e Santamaria, alla fine della loro analisi affermano che oltre che salvaguardare l’agrobiodiversità è opportuno avere «più biodiversità». (aa)
L’articolo è disponibile in open access al seguente link (clicca qui)
Fonte: DIDONNA A., SANTAMARIA P., 2024. Biodiversity of vegetable species: issues and opportunities through environmental policies and research. International Journal of Vegetable Science.
Fonte: Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti - Università degli Studi di Bari Aldo Moro