Dal campo
La Fruit Valley italiana guarda avanti!
In 20 anni persi 30 mila ettari, ma il comparto vuole ripartire
L’Emilia- Romagna, e più in particolare la Romagna, è stata per anni la Fruit Valley italiana forte di una specializzazione su un ampio ventaglio di colture arboree (in particolare drupacee, pomacee e kiwi) grazie a un know how che affondava le radici fin dagli inizi del ‘900 quando a Massa Lombarda, (in provincia di Ravenna), Adolfo Bonvicini costruì le basi della moderna frutticoltura.
Purtroppo, scriviamo al passato, perché è cosa nota che – dopo i fasti fra gli anni ‘70 e ‘90 del secolo scorso – dall’inizio degli anni 2000 è iniziata una emorragia di ettari che tuttora stenta a fermarsi.
È un esercizio inutile rivangare i bei tempi andati, mentre è decisamente più costruttivo confrontarsi per tracciare il futuro, ed è quello che è avvenuto venerdì scorso, presso la sede Agrintesa di Bagnacavallo (RA), dove l’Accademia Nazionale di Agricoltura ha organizzato l’incontro: Fruit valley, guardiamo avanti!
Una mattinata ricca di contenuti, con interventi qualificati sia di esponenti del mondo della ricerca che di importanti aziende del territorio, volti a capire quale strada intraprendere per il futuro.
Nei saluti iniziali, il Prof. Daniele Bassi ha ribadito come: “La Romagna ha insegnato al mondo a fare frutticoltura ma sappiamo bene come negli ultimi 20 anni ci siano stati forti crisi commerciali come nel pesco aggravate da elementi di carattere climatico e fitosanitario, financo la concorrenza di altri Paesi al quale abbiamo insegnato come produrre. Tuttavia, se sapremo riprendere le fila del nostro comparto potremo tornare ad avere un ruolo guida nello scenario nazionale”.
I lavori sono subiti entrati nel vivo con l’analisi della progressione (che nei fatti è una regressione) delle superfici: dal 2000 al 2020 si sono persi 30 mila ettari di colture legnose agrarie, passando da 150 a poco meno di 120 mila ettari coltivati in regione. Nel conteggio è inclusa la vite, ma la perdita è appannaggio esclusivo dei fruttiferi. Entrando nel dettaglio, dal 2010 al 2020 sono stati abbattuti 10 mila ettari, in larga parte di pesche e nettarine (-50%) e pere (-25%). Al contrario, “resistono” kiwi, albicocche, ciliegie e mele che, tuttavia, non riescono a coprire le superfici perdute. D’altronde, nel pero e pesche/nettarine, si è passati da circa 40 mila ettari a testa, a inizio anni 90, a circa 10 mila ettari cadauno degli ultimi anni.
“L’analisi dei dati su periodi così lungi anche in termini di redditività mostra una variabilità particolarmente accentuata da un anno all’altro – ha evidenziato Elisa Macchi, Direttore di CSO Italy – e questo è un elemento di debolezza del settore, che è stato acuito dal cambiamento climatico e dall’insorgere di nuovi patogeni. Per alcune colture, come il pero, il potenziale non è più quello di un tempo: oggi l’Emilia-Romagna può puntare al massimo a 300 mila tonnellate e da queste bisogna ripartire. Ad ogni modo, in un panorama complesso osteggiato dai forti eventi climatici avversi, competitors sui mercati e non solo, la frutticoltura emiliano-romagnola ricopre ancora un ruolo fondamentale grazie allo spirito innovativo, alla capacità di fare ricerca e al dialogo con le istituzioni”.
I problemi, quindi, non mancano, ma le aziende del territorio si stanno riposizionando come ha spiegato Cristian Moretti, Direttore Generale di Agrintesa: “nel comparto pesche e nettarine a livello europeo siamo stati superati dalla Spagna, mentre a casa nostra è in atto un processo di meridionalizzazione della coltura già da diversi anni. Ci stiamo concentrando nel segmento medio tardivo dove riusciamo ad esprime un alto livello qualitativo, puntando anche su prodotti innovativi come le nettarine piatte, con il progetto Ondine. Nelle albicocche abbiamo allungato la campagna fino ad agosto, mentre fra le susine c’è una riscoperta delle prugne europee. Quindi, nonostante tutte le difficoltà c’è ancora un certo dinamismo anche se vorrei sottolineare come ci troviamo a gestire ancora troppe varietà con tutte le complicazioni che potete immaginare. A parte ciò, stiamo investendo in innovazione su tutti i livelli, consapevoli che dobbiamo dare al consumatore un prodotto qualificato e distintivo, mettendo a frutto la nostra specializzazione e professionalità, che il mercato ancora ci riconosce. Se seguiremo questa strada la nostra regione potrà dire ancora la sua negli anni a venire”.
Guardando al futuro era inevitabile una riflessione in merito al ricambio generazionale: “Che è un problema cruciale da affrontare senza esitazione – ha ammonito Andrea Grassi, Direttore innovazione e sviluppo Apofruit – quando invece il settore è spesso “incancrenito” dalle vecchie tradizioni che spesso bloccano il cambiamento. Invece, in uno scenario che evolve molto rapidamente occorre darsi una mossa risolvendo i punti critici del sistema come, ad esempio, la manodopera che rappresenta la voce di costo più alta e che ci crea una marea di problemi poiché è sempre meno disponibile. Identificherei quattro parole chiave per guardare al futuro: ricerca, collaborazione pubblico privato, innovazione e imprenditorialità. Occorre sedersi a un tavolo affinchè politica e parte produttiva lavorino in modo congiunto, se non c’è questo collegamento andiamo a gambe all’aria. Evitiamo di ripetere gli errori del passato per guardare avanti”.
Gli esempi virtuosi non mancano come nel caso di UNAPera: “In pochi anni abbiamo progettato e messo a terra una miriade di progetti che affrontano le criticità del pero a 360°, dal campo al magazzino – ha sottolineato Stefano Foschi Responsabile ricerca e sviluppo UNAPera – e questo è stato possibile grazie al supporto fondamentale della Regione Emilia-Romagna che ha trovato in noi un interlocutore unico, organizzato e strutturato. Chiaramente nessuno ha la bacchetta magica, soprattutto in un settore attraversato dalla tempesta perfetta, come quello del pero, ma gradualmente, grazie al lavoro coeso all’interno del consorzio, i risultati non stanno tardando ad arrivare”.
La ricerca, quindi, può dire ancora la sua e non sono mancate le suggestioni futuristiche (fino a un certo punto) del frutteto “elettrico” che sfrutta l’energia dell’agrivoltaico, come ha raccontato il Prof. Luca Corelli Grappadelli dell’Unibo e che necessiteranno di finanziamenti cospicui, tant’è che “i fondi di investimento si stanno interessando sempre di più al settore ortofrutticolo e gli esempi sono in costante aumento di anno in anno anche in Italia”, ha illustrato l’economista Gianluca Bagnara.
Per quanto riguarda, invece, un futuro decisamente più vicino, nei frutteti, la raccolta robotizzata è pronta a fare il suo esordio: “Già il prossimo anno saremo pronti con i primi cantieri robotici per la raccolta della frutta in maniera ultra delicata dotati di sistemi di visione con l’intelligenza artificiale in grado di riconosce i frutti – racconta Angelo Benedetti. Presidente Unitec. L’actinidia è la coltura che per prima vedrà i suoi frutti raccolti non più dall’uomo, bensì da un macchinario, ma stiamo già lavorando anche su pomacee e drupacee, incluso il ciliegio, che rappresenta una sfida importante. Oltre alla raccolta robotica non dimentichiamo i carri raccolta in grado di selezionare la qualità della frutta direttamente in campo, mentre nella fase di confezionamento e movimentazione degli imballi i sistemi di automazione sono già una realtà”.
Chiudiamo con gli input di carattere strategico giunti dal presidente di MacFrut Renzo Piraccini: “Nel corso degli anni sono stati compiuti diversi errori sia fra i produttori che fra le istituzioni. Prendiamo per esempio il comparto pesche/nettarine: in Europa si producono sempre 3 milioni di tonnellate, ma nella nostra regione abbiamo dimezzato i volumi. Senza ripercorrere gli errori fatti, occorre partire da un punto fermo, ovvero, l’azienda agricola. Dobbiamo supportarle a ogni costo, perché senza di esse il sistema crolla, ma occorrono interventi strutturali. Per esempio, bisogna intervenire sulla fiscalità della manodopera, sulla dimensione delle nostre aziende, che sono ancora troppo piccole, e sul ricambio generazionale, che ci potrà essere solo nel momento in cui ci sarà sostenibilità economica. Questi sono solo alcuni spunti ma il punto è che occorre avere chiara in mente una strategia da condividere con la politica in grado di indirizzare le risorse con estrema efficacia, senza disperderle in mille rivoli”.
In conclusione, le idee per il rilancio della Fruit Valley non mancano, vedremo se il settore sarà in grado di fare sintesi mettendo da parte i campanilismi. I segnali non mancano, e già il fatto che i protagonisti si incontrino per dibattere del futuro è di ottimo auspicio.