Attualità
Il destino dell'uva è nelle nostre mani
Un futuro roseo per il comparto è possibile, ecco a quali condizioni
Gli elementi per pensare a un futuro più roseo per l'uva da tavola italiana non mancano. Le uve con semi non sono il problema, così come le seedless non rappresentano la panacea a tutti i mali. Che fare allora? Dalla nostra diretta Facebook di venerdì scorso, dedicata ai nodi del comparto, sono emersi spunti operativi interessanti. Se dovessimo riassumerli in uno slogan potremmo dire che la strada da seguire è quella di "innovare nella continuità", valorizzando ciò che di buono può offrire la tradizione e sfruttando le nuove tendenze del mercato.
Massimiliano Delcore (presidente della Commissione italiana uva da tavola), Andrea Peviani (direttore commerciale del Gruppo Peviani), Diego Bussani e Ugo Masi (direzione freschi Pam Panorama) assieme a Roberto Della Casa (managing director di Agroter e Italiafruit News), hanno dato vita a un confronto molto seguito, che ha stimolato e coinvolto diversi operatori del settore.
Il destino dell'uva è più nelle nostre mani che in quelle del consumatore: generare qualità con continuità per rendere il consumo degli acini quasi compulsivo, trasmettere i valori della filiera per far conoscere a chi acquista lo stupendo mondo che c'è dietro ogni singolo grappolo, politiche promozionali che sappiano portare valore aggiunto dalla produzione alla distribuzione. Questi gli interventi strategici più urgenti. Poi c'è l'innovazione varietale, ma come ha fatto notare Roberto Della Casa le nuove seedless possono rappresentare un consumo complementare rispetto a un'uva Italia. Se l'ingresso delle nuove varietà sarà ben gestito, quindi, si può evitare l'effetto cannibalizzazione e conquistare un aumento dei consumi.
Consumi che, come testimoniato da Pam Panorama, mostrano dati interessanti sia per le varietà tradizionali che per le senza semi. L'importante, hanno ribadito Bussani e Masi, è portare sui banchi un prodotto buono: il primo prezzo si deve differenziare dalle altre proposte per il calibro degli acini e non per il loro gusto. Questa è la strategia della catena che sull'uva da tavola sta registrando crescite a doppia cifra rispetto lo scorso anno.
Privilegiare la qualità per distinguersi, investire in comunicazione e identità del prodotto, perché l'uva da tavola italiana possa essere associata alla territorialità, alla salubrità, ai migliori valori del Made in Italy. Massimiliano Delcore ha spiegato che bisogna assecondare le richieste del consumatore, ma nei confronti di chi acquista va fatta anche un'azione culturale.
Uve con semi e uve senza semi - ha aggiunto Andrea Peviani - viaggiano a due diverse velocità, il mercato delle prime è maggiormente in difficoltà. Vittoria e Italia sfuse, maneggiate - o meglio maltrattate - nel punto vendita, non invogliano all'acquisto. Per il manager è fondamentale spingere sulle vendite a pezzo, sfruttando il packaging per identificare il prodotto con più chiavi di segmentazione: non solo colore e presenza di semi, ma anche sul fronte del sapore e della croccantezza.
L'uva Italia - questa la riflessione di Della Casa - deve essere vissuta come una specialità. Certo, non può competere con quelle varietà nate per un consumo snack, ma la sua acinatura, il suo sapore, la storia della sua coltivazione possono essere elementi per valorizzare la proposta. Quello che si è fatto nel vino, in buona sostanza, si potrebbe mutuare anche per l'uva da tavola. Le seedless, poi, possono alimentare un consumo parallelo, lontano dal pasto, completando quindi la proposta delle uve tradizionali senza cannibalizzarne gli acquisti.
Le cultivar tradizionali possono avere appeal, sia sul mercato interno che in quello estero, a patto di saperle differenziare rispetto alle seedless. Possono diventare il biglietto distintivo della produzione del nostro Paese, quella che nessun altro ci può imitare (a differenza delle nuove varietà). Il futuro, quindi, può essere roseo.
"Serve comunicazione della filiera, del know e della storia che c'è dietro ogni grappolo d'uva - ha evidenziato Delcore - Oltre a una maggiore collaborazione con la distribuzione e la necessità di procedere sull'aggregazione, per recuperare competitività in termini di costi e di valorizzazione del Made in Italy".
"Possiamo affermarci puntando sulla qualità, il territorio ce lo consente, dobbiamo concentrarci su questo aspetto - ha rimarcato Peviani - L'innovazione varietale? Ancora non sono state piantate le varietà che cambieranno il nostro modo di lavorare, serve aspettare che la scienza ci dia delle risposte in questo senso, nel frattempo dobbiamo comunicare quanto di buono siamo capaci a fare".
"La segmentazione della produzione si tradurrebbe in maggiore specializzazione per i produttori, ottimizzazione dei costi e più continuità in qualità - hanno evidenziato Bussani e Masi - Mentre per la Gdo questo vorrebbe dire massima rotazione e fidelizzazione del cliente. Concentrarsi sulla comunicazione è fondamentale, soprattutto sullo sfuso qualche cosa di meglio si può fare".
Copyright 2020 Italiafruit News
Massimiliano Delcore (presidente della Commissione italiana uva da tavola), Andrea Peviani (direttore commerciale del Gruppo Peviani), Diego Bussani e Ugo Masi (direzione freschi Pam Panorama) assieme a Roberto Della Casa (managing director di Agroter e Italiafruit News), hanno dato vita a un confronto molto seguito, che ha stimolato e coinvolto diversi operatori del settore.
Il destino dell'uva è più nelle nostre mani che in quelle del consumatore: generare qualità con continuità per rendere il consumo degli acini quasi compulsivo, trasmettere i valori della filiera per far conoscere a chi acquista lo stupendo mondo che c'è dietro ogni singolo grappolo, politiche promozionali che sappiano portare valore aggiunto dalla produzione alla distribuzione. Questi gli interventi strategici più urgenti. Poi c'è l'innovazione varietale, ma come ha fatto notare Roberto Della Casa le nuove seedless possono rappresentare un consumo complementare rispetto a un'uva Italia. Se l'ingresso delle nuove varietà sarà ben gestito, quindi, si può evitare l'effetto cannibalizzazione e conquistare un aumento dei consumi.
Consumi che, come testimoniato da Pam Panorama, mostrano dati interessanti sia per le varietà tradizionali che per le senza semi. L'importante, hanno ribadito Bussani e Masi, è portare sui banchi un prodotto buono: il primo prezzo si deve differenziare dalle altre proposte per il calibro degli acini e non per il loro gusto. Questa è la strategia della catena che sull'uva da tavola sta registrando crescite a doppia cifra rispetto lo scorso anno.
Privilegiare la qualità per distinguersi, investire in comunicazione e identità del prodotto, perché l'uva da tavola italiana possa essere associata alla territorialità, alla salubrità, ai migliori valori del Made in Italy. Massimiliano Delcore ha spiegato che bisogna assecondare le richieste del consumatore, ma nei confronti di chi acquista va fatta anche un'azione culturale.
Uve con semi e uve senza semi - ha aggiunto Andrea Peviani - viaggiano a due diverse velocità, il mercato delle prime è maggiormente in difficoltà. Vittoria e Italia sfuse, maneggiate - o meglio maltrattate - nel punto vendita, non invogliano all'acquisto. Per il manager è fondamentale spingere sulle vendite a pezzo, sfruttando il packaging per identificare il prodotto con più chiavi di segmentazione: non solo colore e presenza di semi, ma anche sul fronte del sapore e della croccantezza.
L'uva Italia - questa la riflessione di Della Casa - deve essere vissuta come una specialità. Certo, non può competere con quelle varietà nate per un consumo snack, ma la sua acinatura, il suo sapore, la storia della sua coltivazione possono essere elementi per valorizzare la proposta. Quello che si è fatto nel vino, in buona sostanza, si potrebbe mutuare anche per l'uva da tavola. Le seedless, poi, possono alimentare un consumo parallelo, lontano dal pasto, completando quindi la proposta delle uve tradizionali senza cannibalizzarne gli acquisti.
Le cultivar tradizionali possono avere appeal, sia sul mercato interno che in quello estero, a patto di saperle differenziare rispetto alle seedless. Possono diventare il biglietto distintivo della produzione del nostro Paese, quella che nessun altro ci può imitare (a differenza delle nuove varietà). Il futuro, quindi, può essere roseo.
"Serve comunicazione della filiera, del know e della storia che c'è dietro ogni grappolo d'uva - ha evidenziato Delcore - Oltre a una maggiore collaborazione con la distribuzione e la necessità di procedere sull'aggregazione, per recuperare competitività in termini di costi e di valorizzazione del Made in Italy".
"Possiamo affermarci puntando sulla qualità, il territorio ce lo consente, dobbiamo concentrarci su questo aspetto - ha rimarcato Peviani - L'innovazione varietale? Ancora non sono state piantate le varietà che cambieranno il nostro modo di lavorare, serve aspettare che la scienza ci dia delle risposte in questo senso, nel frattempo dobbiamo comunicare quanto di buono siamo capaci a fare".
"La segmentazione della produzione si tradurrebbe in maggiore specializzazione per i produttori, ottimizzazione dei costi e più continuità in qualità - hanno evidenziato Bussani e Masi - Mentre per la Gdo questo vorrebbe dire massima rotazione e fidelizzazione del cliente. Concentrarsi sulla comunicazione è fondamentale, soprattutto sullo sfuso qualche cosa di meglio si può fare".
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