«Alluvione, a rischio almeno 10mila ettari di frutteti»

Le prime stime insieme a Confagricoltura Ravenna sull'areale romagnolo

«Alluvione, a rischio almeno 10mila ettari di frutteti»

È passato oramai poco più di una settimana dalla devastante alluvione che ha colpito la Romagna, ed è già possibile accertare i primi danni a carico dei frutteti. “La situazione è drammatica – spiega a IFN Nicola Servadei, presidente della sezione frutticoltura di Confagricoltura Ravenna – e non poteva essere diversamente se si considera che in buona parte delle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini i campi sono stati allagati per almeno 36-48 ore, senza dimenticare che tutt’ora ci sono ancora parecchie centinaia di ettari sott’acqua, come nella zona di Conselice e, da qui, verso Ravenna. Considerando che all’interno delle tre province la superficie frutticola (drupacee, pomacee, kiwi e kaki) è pari a 25 mila ettari, saremmo già fortunati se ne perdessimo “solo” 10 mila ettari, ma è probabile che le stime possano pure peggiore”.

“Infatti, ovunque volgiamo lo sguardo c’è un problema. In primis le colture più sensibili ai ristagni idrici come pesco (soprattutto se innestato su GF 677, meno su Puebla), kiwi e ciliegio, mostrano già le prime clorosi e nei casi più gravi, dove l’acqua ha sorpassato il metro di altezza, si vede già una cospicua caduta delle foglie che molto probabilmente porterà alla morte della pianta, in particolare nel pesco. Il pero, soprattutto se innestato su Franco è forse una delle colture più resistenti all’asfissia radicale, e lo stesso vale anche per il melo. Tuttavia, vorrei far notare come i danni sul frutteto possono essere di diverso tipo: si va dal collasso della pianta a uno stress che, se non porta alla morte della stessa, può comunque comprometterne le capacità produttive. Infine, non dimentichiamo come in questo periodo diverse drupacee, come albicocche e ciliegie, fossero in fase di accrescimento e maturazione dei frutti, per cui - con 200 millimetri di pioggia - anche se il frutteto non è finito sott’acqua, il cracking dei frutti è inevitabile."

“Chiaramente il primo pensiero del frutticoltore è quello di entrare all’interno dell’impianto per effettuare i trattamenti di difesa dalle malattie, che in queste condizioni vanno a nozze. Tuttavia, occorre calma e gesso, perché se il terreno non ha la giusta portanza non si fa altro che compattare ulteriormente il suolo, peggiorando la situazione. L’ideale sarebbe aspettare che almeno il fango si asciughi un minimo per poi entrare con l’atomizzatore e successivamente con attrezzi per lavorare il terreno, in quanto è fondamentale cercare di arieggiarlo. Capisco che sia più facile a dirsi che a farsi, soprattutto se ci si trova di fronte ad uno strato di almeno 30 centimetri di fango che a distanza di 10 giorni ancora non si asciuga".


Spostandoci verso Bologna e Ferrara abbiamo chiesto una disamina della situazione ad Andrea Bandiera, responsabile tecnico delle colture frutticole di Patfrut, che ha sede nelle province di Ferrara e Bologna. “Nelle aree che seguo – quindi il bolognese e il ferrarese – non abbiamo avuto particolari danni causati da fenomeni alluvionali, però abbiamo registrato qualche problema con i ristagni idrici a causa delle piogge battenti. Quello che temiamo sono i danni da asfissia radicale ma non possiamo ancora quantificarli in questo momento. Infatti, solo a lungo termine vedremo se ci sono state delle conseguenze negative per l’apparato radicale. Abbiamo riscontrato gravi perdite di prodotto con le gelate di aprile, tra le colture più colpite le albicocche che sono state pressoché azzerate e, anche, per le pesche il danno è simile. Con le pere abbiamo registrato il 70- 80% di prodotto in meno”.