Attualità
Banditi i prodotti realizzati con il lavoro forzato
Accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio Ue
Parlamento e Consiglio Ue hanno raggiunto un primo accordo per mettere al bando i prodotti realizzati attraverso il lavoro forzato, la moderna forma di schiavitù che riguarda oltre 26 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui minorenni. Lo hanno reso noto le due istituzioni europee.
Il regolamento prevede che venga vietata l'immissione e la messa a disposizione sul mercato dell'Ue, o l'esportazione, di qualsiasi prodotto realizzato utilizzando il lavoro forzato. Sono state introdotte modifiche significative alla proposta originaria, chiarendo le responsabilità della Commissione e delle autorità nazionali competenti nel processo investigativo e decisionale.
L'esecutivo comunitario istituirà una banca dati contenente informazioni verificabili e regolarmente aggiornate sui rischi del lavoro forzato, comprese le relazioni delle organizzazioni internazionali (come l'Organizzazione internazionale del lavoro). La banca dati dovrebbe supportare il lavoro della Commissione e delle autorità nazionali competenti nel valutare possibili violazioni di questo regolamento.
Per valutare la probabilità che avvengano violazioni del regolamento sono previsti dei criteri come: la portata e la gravità del presunto lavoro forzato, compreso se quello imposto dallo Stato possa costituire motivo di preoccupazione; la quantità o il volume dei prodotti immessi o resi disponibili sul mercato dell'Unione; la quota delle parti del prodotto che potrebbero essere realizzate con il lavoro forzato nel prodotto finale; la vicinanza degli operatori economici ai sospetti rischi del lavoro forzato nella loro catena di approvvigionamento e la loro influenza per affrontarli.
Verranno pubblicate delle linee guida della Commissione per operatori economici e le autorità competenti per aiutarli a conformarsi ai requisiti del regolamento.
Coldiretti, ok stop lavoro forzato da 'passata' Cina a riso India
Dal concentrato di pomodoro cinese al riso indiano, fino ai gamberetti tailandesi. Sono diversi i cibi che entrano nel nostro Paese su cui grava l’accusa di essere ottenuti dall’utilizzo del lavoro forzato ed è per questo importante la decisione dell’Unione Europea di vietare l’accesso al mercato comunitario alle merci ottenute da una moderna forma di schiavitù che riguarda oltre 26 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui minori. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il primo accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio Ue sul regolamento che ne vieta l'immissione e la messa a disposizione sul mercato dell'Unione.
L'intesa introduce modifiche significative alla proposta originaria, chiarendo le responsabilità della Commissione e delle autorità nazionali competenti nel processo investigativo e decisionale. La decisione finale (cioè vietare, ritirare e smaltire un prodotto realizzato con lavoro forzato) sarà presa dall'autorità che ha condotto l'indagine. Nel caso in cui la decisione sia presa da un'autorità nazionale si applicherà in tutti gli altri Stati membri sulla base del principio del reciproco riconoscimento.
Concorrenza sleale danneggia agricoltura italiana. Secondo l’analisi della Coldiretti sui dati del Dipartimento del lavoro Usa, tra i prodotti agroalimentari coltivati o trasformati grazie al lavoro forzato di adulti e bambini ci sono anche peperoncini dal Messico, riso dal Mali, castagne dal Perù, pesce dalla Thailandia, dall’Indonesia e dalla Cina, canna da zucchero dal Brasile. Cibi che finiscono sugli scaffali dei supermercati italiani o europei invasi dalle importazioni di prodotti extracomunitari che fanno concorrenza sleale ai produttori agricoli e mettono a rischio la salute dei consumatori.
“Abbiamo più volte sollecitato l’Unione Europea a bloccare le importazioni di prodotti alimentari ottenuti dallo sfruttamento” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità che “dietro tutti i cibi che arrivano sulle tavole ci sia un percorso di qualità che riguarda la tutela dei minori, oltre che del lavoro, dell’ambiente e della salute. Facendo valere il principio di reciprocità su tutti gli accordi commerciali”.
Filiera Italia, l'accordo per lo stop sul lavoro forzato tutela l'intera filiera agroalimentare
“Il divieto di importazione da Paesi terzi di prodotti ottenuti attraverso lo sfruttamento del lavoro è un passo importante di tutela e salvaguardia dell’intera filiera agroalimentare - dalla produzione agricola, all’industria ed i consumatori - dalla concorrenza sleale”, ad affermarlo è Luigi Scordamaglia, Amministratore delegato di Filiera Italia, alla luce dell’accordo raggiunto tra Consiglio Ue e Parlamento sul Regolamento Ue che vieta l’immissione e la messa a disposizione nel mercato comunitario di qualsiasi prodotto realizzato attraverso una moderna forma di schiavitù, che si ricorda riguarda oltre 26 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui minori.
“Abbiamo da tempo fortemente sollecitato l’Unione europea affinché fossero bloccate le importazioni di qualsiasi prodotto, a partire da quelli agroalimentari, ottenuti irregolarmente dal punto di vista sociale e ambientale - continua Scordamaglia - a partire dal caso del concentrato di pomodoro proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang, dove è noto che il governo cinese pratica da tempo politiche di repressione e lavoro forzato della popolazione locale degli Uiguri”.
E conclude: "Le importazioni in Italia di tale prodotto sono in costante aumento con un differenziale di prezzo crescente rispetto al pomodoro italiano e ciò genera un inaccettabile effetto dumping a danno di aziende agricole e imprese di trasformazione italiane. Ci auguriamo che con l’applicazione di tale Regolamento tutto questo abbia fine, far valere il principio di reciprocità, a cominciare dal lavoro regolare, è una battaglia che deve vedere l’Europa sempre più compatta e determinata”. (am)
Fonte: Ansa, Uffici stampa Coldiretti, Filiera Italia