Che settembre sarà per l’ortofrutta?

Fra crisi internazionali e speculazioni locali serve una strategia efficace

Che settembre sarà per l’ortofrutta?

Le vacanze sono oramai finite e il bilancio economico per l’industria del turismo, ben lontano dai record roboanti annunciati a giugno, fa comprendere come la percezione sia, spesso, lontana dalla realtà e foriera di grossolani errori di valutazione. Si è ipotizzato il risultato a priori, sulla base delle “volontà” manifestate dalle persone di svagarsi e non sulle effettive possibilità di farlo, per cui il solo -30% realizzato dalle discoteche alla fine di questa stagione estiva la dice lunga della differenza che esiste fra “voglia di divertirsi” e “possibilità di divertimento” e deve farci riflettere su quanto sta accadendo.

Egualmente, ci deve far pensare che il 2023 sarà il primo anno dal dopoguerra dove nel nostro Paese vedremo una riduzione dei consumi alimentari a volume. Una svolta epocale da cui si evidenzia chiaramente che, ai prezzi attuali, la nostra comunità deve – nel complesso - fare scelte non solo di qualità ma anche di quantità per far quadrare i conti. C’è, poi, un mercato oramai dominato a tutti i livelli da “abusi” di  speculazione ovunque sia possibile gestire una rendita di posizione: voli aerei e carburanti durante le vacanze estive, combustibili ed elettricità d’inverno, senza parlare degli alimentari, dove oramai nessuno riesce più a capire l’origine e la legittimità dei continui aumenti dei listini. Il processo industriale e le tempistiche di applicazione sono così complesse che vale sostenere tutto e il contrario di tutto.

L’unica grande controindicazione andando in questa direzione è che alzare continuamente l’asticella, anche se per buone ragioni, di fronte a stipendi che non si muovono e un costo del denaro che oramai supera abbondantemente il 5%, porta per i nostri prodotti a un’inevitabile competizione non solo per le cosiddette “quote di pancia”, dove vince chi soddisfa di più il cliente nel bilancio fra ragione ed emozione, ma anche per quelle di “portafoglio”, dove la parte razionale prende di gran lunga il sopravvento.

Ecco che i maggiori costi sopportati dalle nostre filiere di frutta e verdura, questa volta reali e legittimi, che dipendono in larga parte da un clima sempre più avverso in tutte le aree continentali, sono però difficili da fare digerire ai clienti e il rischio è che l’incremento dei prezzi sia insufficiente rispetto alla riduzione dei volumi, per cui i conti comunque non torneranno.

Il tutto senza considerare l’evoluzione dello scenario macroeconomico internazionale, dove pesano macigni come la bolla immobiliare cinese, il conflitto ucraino e anche la seconda recessione in tre anni in Germania; la nazione che, ricordo, è ancora il nostro primo mercato di esportazione per l’ortofrutta. Auguriamoci che nessuna di queste situazioni critiche precipiti perché, se no, i venti economici temporaleschi che insistono sul nostro paese potrebbero trasformarsi in uragani.

Che fare di fronte a questo contesto? La terapia non è semplice e di certo, comunque, articolata. In primo luogo, per non perdere o, almeno, contenere la perdita di valore di fronte alla riduzione del potere d’acquisto, a breve l’operazione più efficace è segmentare il più chiaramente possibile l’offerta. La polarizzazione delle disponibilità economiche obbliga a fare questo e in modo tangibile per chi compra. Fra primo prezzo e top di gamma le decine di centesimi non sono sufficienti, occorre aumentare la forbice, magari redistribuendo valore con diverse marginalità unitarie. In un orizzonte più ampio, che non va mai dimenticato, occorre alzare la percezione del valore dell’ortofrutta per recuperare quote di portafoglio da altre categorie. Qui la comunicazione è la chiave e va certamente migliorata sia come strategia che applicazione, come abbiamo di recente sottolineato (per approfondire clicca qui  ). Insomma, ci attende una ripresa tutt’altro che tranquilla.