Il meglio di IFN
Se è un'inflazione da margini, chi guadagna e chi perde?
Riflessioni dal dibattito fra Mutti (Centromarca) e Buttarelli (Federdistribuzione)
Di fronte ad un’inflazione che, ancora ad aprile, nel nostro paese segnava un +8,3% malgrado la riduzione oramai conclamata non solo dei costi energetici ma anche delle materie prime agricole, un osservatore attento come Ferruccio de Bortoli, sulle colonne del Corriere della Sera, si domandava qualche giorno fa se questa lenta discesa dell’inflazione non dipendesse più da ingordigia delle imprese che da una situazione oggettiva di difficoltà sul fronte costi. Il tema è stato poi ripreso su La Stampa dal Presidente di Federdistribuzione Carlo Alberto Buttarelli, che evidenziava come “gli aumenti dei prezzi nel 2022 erano attesi e comprensibili, quelli di inizio 2023 no”.
Pronta la replica del numero uno di Centromarca, Francesco Mutti che, a nome degli industriali della sua associazione, “rifiuta l’etichetta di speculatori”, evidenziando nei costi energetici, in quelli finanziari – legati all’incremento dei tassi - e nella necessità di mantenere i profitti, per poter investire in innovazione, le origini dell’incremento dei prezzi.
Questo l’antefatto, che - pur in una nuova lettura delle motivazioni di un’anomala persistenza dell’inflazione - non modifica di un millimetro i tesi rapporti fra industria e distribuzione in atto da più di un anno, mi dà però modo di approfondire qualche elemento strategico di questa intricata situazione, esaminandola nell’ottica del nostro comparto.
La prima osservazione riguarda il rimbalzo di responsabilità su cifre che sembrano uscite dal tavolo della roulette più che da uffici studi qualificati e che, se non adeguatamente contestualizzate e spiegate, rischiano di portare a errori nelle operazioni di contrasto che si potrebbero rivelare mortali. Vi è, infatti, così tanta eterogeneità fra i vari comparti, che le analisi generali sono quasi prive di senso. Le costruzioni volano per effetto del 110%, i ristoranti e gli alberghi sono al pre-pandemia per desiderio di libertà, ma entrambi non sono in grado di fare fronte alla domanda potenziale per carenza di manodopera, il cui costo sta lievitando proporzionalmente. I consumi di acqua minerale continuano a crescere per effetto della comunicazione anche fra le famiglie più povere, che non vogliono rinunciarvi, pur potendo bere quella del rubinetto, preferendo risparmiare abbandonando la pulizia dei denti e la cura delle carie che, nel frattempo, sono diventate molto meno costose di un tempo per via delle aggregazioni fra gruppi di professionisti. Il mercato dell’auto gira solo in funzione degli aiuti e dei divieti, erogati e imposti oramai periodicamente, mentre non si può fare un piano straordinario per sostenere il comparto delle pere, avversato più dalle calamità naturali che dall’assenza di domanda. Ogni situazione va perciò letta nel contesto ma interpretata nella condizione specifica.
La seconda osservazione riguarda invece l’approccio dei comparti e delle imprese all’aumento dei prezzi. Quelli, come i cibi per gli sportivi, che occupano un posto importante nella mente e nelle priorità dei loro consumatori, oggi utilizzano (non sfruttano) la rendita di posizione accettando magari anche qualche contrazione nei volumi – anche se spesso accade il contrario - se bilanciata da incrementi di prezzi più che proporzionali non solo alla perdita quantitativa ma anche all’aumento dei costi. Senza scomodare i beni di lusso, ve ne sono tanti anche nell’alimentare di prodotti e categorie di questo tipo. Quelli, invece, che occupano posizioni di rincalzo o, peggio, sono quasi dimenticati, non solo devono tirare la cinghia sui prezzi ma rischiano anche di vedere in ogni caso una riduzione dei volumi, perché parte della loro fetta di torta se la sono presa quelli in vetta alle priorità, a fronte di un potere di spesa che si è ridotto per tre quarti degli italiani.
Considerando che l’ortofrutta fa parte di questo secondo gruppo, temo che l’inflazione da margini – salvo rari casi - sia solo un’ulteriore minaccia che rischia di comprimere volumi e valori ancora di più per la maggior parte degli attori. Solo recuperare un posto al sole potrà allentare la presa dell’inflazione, efficienza ed efficacia lungo la filiera non basteranno. È, infatti, prima di tutto un problema di percezione del valore.