Qualificato contributo sul dibattito "pesticidi"

Il prof. Brunelli illustra il suo punto di vista sulla questione

Qualificato contributo sul dibattito "pesticidi"

Gentile Redazione,
solo in questi giorni ho avuto la possibilità di leggere la corrispondenza svoltasi nel maggio scorso fra Italia Fruit News e i colleghi Maini e Gullino, ed essendo stato citato come uno dei fitoiatri già sostenitori dell’inopportunità di usare il termine pesticida, a partire dall’ambito scolastico universitario, vorrei anch’io inserirmi nel dibattito.

Effettivamente da tempo, in accordo con molti colleghi a partire dalla prof. Gullino, mi sono unito ai critici dell’uso del termine pesticida, adducendo la sua semplicistica e non corretta traduzione dall’inglese, ma sottintendendo anche l’opportunità di evitare la negativa percezione che il termine può assumere nella lingua italiana. Bisogna purtroppo riconoscere che l‘invito ha sortito ben pochi effetti al di fuori dell’ambito strettamente fitoiatrico operativo, e non certo per ragioni semantiche, e al di là del corretto richiamo del prof. Maini alla sua radice latina. Presso l’opinione pubblica hanno notoriamente maggiore presa i temi scandalistici, specialmente se attinenti alla salute, e per di più, al di fuori della stampa e dei mezzi di comunicazione specializzati, l’informazione agricola, è quasi sempre gestita da operatori privi di una formazione specifica adeguata. E ovviamente un termine negativamente evocativo come quello di pesticida è stato ed è utilissimo per tenere alta l’attenzione.

Anche per questo, continuo a essere d‘accordo con la prof. Gullino sul modo scorretto della trasposizione del termine pesticida in Italia e continuo ad evitare il suo uso, ma condivido la riflessione fatta dal prof. Della Casa che in pratica converrebbe “sdoganare” il termine e, invece, impegnarsi sulla sostanza, che è diversa dagli scenari catastrofici generalmente attribuiti ai pesticidi dai “media”, anche utilizzando strumentalmente il termine. Come sto facendo io in questa nota, chiamiamoli pure pesticidi ma bisognerebbe ricordare ai consumatori che il loro uso non è per gli agricoltori un “optional” (oltretutto sempre più costoso) bensì una necessità tecnica collegata anche a un bisogno alimentare planetario, diversamente da quanto avviene per tanti altri consumi voluttuari e spesso altrettanto pericolosi. E che oggi il loro impiego, specialmente nel nostro Paese, è guidato da norme di legge e indirizzi tecnici rispettosi per la salute e l’ambiente. E sarebbe anche il caso di ricordare che il rischio zero oggi non può esistere, in nessun settore e tanto meno in quello agricolo, dove peraltro le normative internazionali ed europee in particolare, sono da tempo impegnate a garantire un accettabile livello di “rischio calcolato” per gestire il pericolo che indubbiamente caratterizza molte delle sostanze impiegate per contrastare le avversità biotiche.

I pesticidi forse non sono favolette, come afferma l’amico Maini, ma è sicuramente una favola, come quella di Biancaneve, l’illusione, purtroppo alimentata dalle autorità politiche e normative europee, che sia possibile rapidamente arrivare per legge alla drastica riduzione ipotizzata per il loro impiego, specialmente se abbinata all’incremento dell’agricoltura biologica, che richiede un maggior apporto di pesticidi sia pure naturali. E in questa realtà di disinformazione (o quanto meno di parziale informazione), riguardante purtroppo un bisogno primario dell’uomo, un’altra forzatura può essere attribuita alla GDO che, con pur lecite iniziative commerciali imperniate sulla riduzione dei residui dei pesticidi rispetto ai limiti legali (compresa quella del “residuo zero”), finisce per mandare indirettamente ai consumatori un messaggio fuorviante sulla potenziale pericolosità delle produzioni normali, che da tempo in Italia, come è dimostrato dai controlli analitici pubblici, presentano livelli residuali ampiamente rassicuranti. E ciò, oltretutto, fa passare in secondo piano il percorso virtuoso da tempo imboccato dall’agricoltura italiana per razionalizzare la difesa e garantire la sicurezza sanitaria dei prodotti vegetali oltre che la loro sostenibilità ambientale, la cui conoscenza, se ben comunicata, sarebbe di per sé più che sufficiente per stimolare un maggior consumo di prodotti nazionali. 
Certo il corretto uso del vocabolario è importante ma credo che sia più importante chiedere ai detrattori a oltranza dei pesticidi una maggiore correttezza sostanziale e il problema dell’uso forse improprio ma sicuramente strumentale del termine si risolverebbe senza bisogno di Treccani o Wikipedia.

Prof. Agostino Brunelli

Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari - Università di Bologna

 

Carissimo Professore, La ringrazio dell'interessante nota che arricchisce ulteriormente il dibattito che è nato intorno al mio editoriale di qualche tempo fa (clicca qui per approfondire). Come Lei ben evidenzia il tema ha due componenti:

  • Una prima tecnica, su cui gli scienziati si stanno arrovellando da tempo in un confronto serrato fra chi sostiene, come Lei, che gli enormi passi avanti fatti negli anni per aumentare selettività e ridurre la tossicità generale delle molecole consigliano di proseguire con ancora più attenzione sulla strada intrapresa per ridurre per quanto possibile il rischio, forti dei risultati raggiunti ma nella consapevolezza che non si possono annullare le criticità, e chi - preoccupato da effetti cocktail, interferenze endocrine e non prevediiblità dei rischi di lungo periodo - vorrebbe un deciso ridimensionamento dell'uso delle molecole di sintesi e un ritorno ad un'agricoltura più “naturale”, dove il biologico viene indicato anche dalla Commissione europea come la via da seguire. Su questo dibattito non entro, non perché non abbia un'opinione ma perché non sposta il senso del mio ragionamento.
  • La seconda componente è, infatti, di comunicazione; dove la parola pesticida, come Lei lucidamente evidenzia, genera una sensazione negativa in italiano, ben lontano dall'autentica interprezione di “medicina del piante”. A prescindere dall'etimologia - che qui poco interessa - il problema è che porta le persone a pensare prevalentemente agli effetti sulla propria salute e, non, viceversa, a quelli sulla salute delle piante. Visto, però, che se si porta il tema in evidenza, la portata e l'entità di questi effetti collaterali non sono poi così assodati, almeno nella percezione dell'opinione pubblica, riterrei che - a prescindere da come la si pensi rispetto al tema “futuro dei pesticidi” - sarebbe interesse di tutti sdoganarne la reale portata allo stato delle conoscenze, per rilanciare i consumi, con un piano studiato allo scopo e condiviso dalla filiera.

Spero che, anche con il Suo autorevole aiuto, qualcosa riusciremo a fare.

Ancora grazie

A presto

Roberto Della Casa

 

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