Il meglio di IFN
Ferrero compra Kellogg per 3,1 miliardi di euro
La crescita esterna voluta da Giovanni tocca l'apice mentre la nostra ortofrutta è ancora ancorata ai modelli degli anni '70

I cereali da prima colazione più famosi al mondo stanno per diventare italiani. Ferrero International li sta portando sotto il tricolore con un’acquisizione record da 3,1 miliardi di euro, necessaria per rilevare Wk Kellogg company, quotata a Wall Street. Ferrero affiancherà così a Nutella, Kinder e Ferrero Rocher, Frosted Flakes, Special K e Rice Krispies, i marchi più famosi di Kellogg, che hanno realizzato nel 2024 un fatturato di 2,7 miliardi di dollari. Il Gruppo di Alba proietta così il suo giro d’affari per il 2025 da 18,3 a oltre 21 miliardi di euro.
Al di là dell’iconicità dell’operazione per i brand in gioco e per la rilevanza della posizione che Ferrero va a ricoprire nel sistema agroalimentare americano, con i suoi 22 impianti attivi e i 14 mila dipendenti, l’acquisizione ha anche un significato strategico, perché così Ferrero International svilupperà circa metà del fatturato fuori dal Vecchio continente ma, ancor più, perché si corona il cambio di paradigma voluto da Giovanni Ferrero - fondato sulla crescita esterna – rispetto a quello della crescita “organica”, seguito, fino alla sua scomparsa, dal padre Michele. Il figlio Giovanni, infatti, alla guida operativa dopo la prematura morte del fratello Pietro, negli ultimi anni ha dato vita a una sequenza ravvicinata di acquisizioni, dal cioccolato inglese Thorntons, ai biscotti Burton’s, ai gelati Wells e agli snack Power crunch, che hanno fatto crescere rapidamente Ferrero, soprattutto oltreoceano.
Giovanni è l’interprete di un nuovo capitalismo familiare che non vede più il mondo esterno come un nemico da cui difendersi ma un possibile partner con cui crescere e consolidarsi rapidamente, adeguando i programmi a un contesto che muta così in fretta, da rendere il “lungo periodo” un orizzonte imprenditoriale utopico. Solo per fare un esempio, di certo i dazi insostenibili promessi dalla nuova amministrazione Trump saranno in ogni caso edulcorati dal nuovo assetto di Ferrero, grazie alle politiche di localizzazione della produzione delle sue specialità negli Stati Uniti.
A qualcuno del nostro comparto spero fischino le orecchie, perché questa operazione – a ben leggere – è una bella lezione anche per la nostra ortofrutta che, oramai da decenni, vive quasi esclusivamente di crescita interna e, quando si affida all’esterno, lo fa quasi sempre solo perché aziende decotte cercano di accasarsi prima di sparire, rigorosamente ben oltre il limite in cui potevano essere ancora propulsive se inserite in un diverso contesto. “Meglio da soli anche se malandati”, sembra essere il motto che porta a imprese quasi sempre di dimensioni insufficienti a reggere i grandi cambiamenti in atto, senza risorse per investimenti adeguati al nuovo contesto economico e ambientale, imprese che alimentano una crisi del comparto, oramai perenne, dove ogni sforzo è più volto al taglio dei costi anziché all’aumento dei ricavi e, soprattutto, dei profitti. E dire che, proprio perché si opera in agricoltura, gli strumenti e le modalità di aggregazione anche innovative non mancano e potrebbero consentire decisi recuperi di competitività, soprattuto nei comparti più in difficoltà.
