«Sarà la volta buona per l'oblio di 'pesticida'?»

Il pensiero di Maria Ludovica Gullino

«Sarà la volta buona per l'oblio di 'pesticida'?»

Leggendo il pezzo del 12 maggio u.s. di Roberto Della Casa su Italiafruit News (clicca qui per rileggerlo) mi si è allargato il cuore!   
Che sia la volta buona, mi sono detta, che i molteplici inviti a evitare l’uso del termine, scorrettissimo peraltro, di pesticida, come da sempre fatto da uno sparuto gruppo di fitoiatri (Angelo Garibaldi e Agostino Brunelli, per citarne alcuni) siano ascoltati?  
Negli ultimi anni si è, purtroppo, affermato, soprattutto su giornali e media, l’uso del termine “pesticida”. Questa definizione, che altro non è che la maccheronica traduzione del termine inglese “pesticides” non è corretta, in quanto i “pesticides” rappresentano soltanto una parte degli agrofarmaci, gli insetticidi.    
Purtroppo a questa terminologia si sono adeguati molti colleghi, abituati a utilizzare traduzioni pedestri di termini inglesi (piastrare, biocontrollo, testare,…) senza fare lo sforzo di usare una corretta (e anche più gradevole) terminologia italiana. E’ ben nota e documentata la scarsa simpatia che molti consumatori provano nei confronti degli agrofarmaci utilizzati per la difesa delle colture dai parassiti, considerandoli talora addirittura alla stregua di “veleni”, dannosi per la salute umana.  

Sarà la volta buona che riusciamo a spiegare che gli agrofarmaci non sono assolutamente dei veleni, ma, al contrario, dei veri e propri farmaci per le piante, che, dopo una lunga sperimentazione, sono registrati e resi disponibili agli agricoltori per combattere parassiti animali e vegetali che potrebbero causare ingenti perdite di produzione? 
Sono convinta da sempre che utilizzare la terminologia giusta possa servire. Così come servirebbe fare capire quanta ricerca c’è dietro lo sviluppo di un nuovo principio attivo, l’evoluzione che c’è stata negli anni nel settore agrochimico, accompagnata peraltro dalla messa a punto di mezzi e metodi di distribuzione con un sempre più ridotto impatto ambientale e da norme di impiego sempre più severe che tutelano pienamente i consumatori. 
Anche nei corsi universitari, purtroppo, la parte relativa allo studio dei mezzi chimici di lotta (struttura chimica, meccanismi di azione, distribuzione, effetti collaterali negativi, …) si è sempre più ridotta a vantaggio di ore (anche eccessive, a mio modesto parere) dedicate a sviscerare nei dettagli metodi di difesa ancora molto sperimentali. Eppure gli agrofarmaci andrebbero conosciuti meglio, proprio per essere utilizzati meno e al meglio. Dispiace dirlo, ma, talora a criminalizzarli sono proprio alcuni ricercatori interessati a promuovere oltre misura metodi di difesa efficaci sì, ma in condizioni sperimentali molto lontane da quelle reali. Invece, mentre la ricerca di metodi alternativi giustamente prosegue, non sarebbe male formare laureati che conoscano meglio, nel bene e nel male gli agrofarmaci. E informare i non addetti ai lavori in modo imparziale e corretto.   
Ben venga veramente l’aiuto di autorevoli colleghi che operano in altri settori a risistemare un po' la terminologia!