Il vaso strutturato convince i produttori di drupacee

Cembali (Agrintesa): «Produttività, meccanizzazione e facilità di gestione sono i punti di forza»

Il vaso strutturato convince i produttori di drupacee

Il vaso – con le sue varianti quali il vasetto ritardato e il vaso catalano, solo per citare le più comuni – è fra le forme di allevamento più diffuse nel comparto drupacee, grazie ad alcuni plus ben noti: gestione della pianta da terra e costi d’impianto più bassi rispetto a forme in parete, grazie all’assenza di impalcature.

Chiaramente questa forma non è scevra da difetti, a partire, per esempio, dalla formazione della pianta, che necessita di mani esperte per essere portata a compimento ed è risaputo come al giorno d’oggi l’assenza cronica di manodopera specializzata sia ormai una piaga pressoché irrisolvibile in ambito frutticolo.

Un’evoluzione del vaso – più in linea con le esigenze attuali dei frutticoltori che cercano una forma facile da gestire e possibilmente meccanizzabile – è stata studiata dall’ufficio tecnico di Agrintesa, e prende il nome di “vaso strutturato”, come ci spiega il tecnico Gianluca Cembali, colui che per primo lo ha consigliato ai propri associati: “Questo sistema di impianto è caratterizzato da una struttura di sostegno, ovvero, i classici pali in cemento precompresso (piuttosto che in legno o ferro), sui quali viene installato, perpendicolarmente alla fila, un tutore solitamente in ferro, della lunghezza compresa fra 1,8 e 2 metri e posizionato a circa 1,70-1,80 metri da terra. Ad ognuna delle due estremità del tutore viene posizionato un filo che, essendo parallelo al filare, funge da sostegno ai germogli – in un numero variabile da 2 a 6 in funzione della vigoria – che la pianta genera nel primo anno e che diverranno lo scheletro produttivo. Questa operazione è alquanto semplice, ed è alla portata anche degli operatori meno esperti; infatti è uno degli aspetti più apprezzati dai produttori che adottano questa forma d’allevamento”.

Per quanto riguarda il sesto di impianto, si nota un aumento della densità di piantagione rispetto alle classiche forme in volume: “Ci spingiamo fino a 1.100-1.500 piante/ha in virtù una distanza tra i filari di 4,2 – 4,5 metri e una distanza sulla fila tra 1,2 e 2 metri in relazione, in primis, della vigoria e dell’habitus vegetativo e poi delle necessità di gestione aziendale, come il passaggio con trattrici cabinate. Non dimentichiamo, inoltre, come diversi impianti allevati a vaso strutturato, siano nati come riconversione di impianti precedenti, (es. actinidia), e in questi casi ci si adatta alla struttura esistente”.

L’aumento della densità è utile per migliorare le performance sia a livello produttivo che qualitativo, grazie a una migliore efficienza della pianta, mentre la mancanza di potature energiche durante la fase di allevamento accelera l’entrata in produzione che già alla seconda foglia risulta essere significativa. 

Inoltre, questo tipo di architettura della pianta, che si avvicina a una forma a Y, si presta a una meccanizzazione delle operazioni colturali, solitamente impensabile nelle forme in volume: “Pre-potatura (topping dei rami più vigorosi), diradamento e cimatura estiva (eliminazione dei succhioni post raccolta) sono operazioni facilmente meccanizzabili con le tecnologie attualmente disponibili che possono essere poi rifinite a mano, garantendo comunque un netto risparmio delle ore a ettaro impiegate per la gestione di questa forma di allevamento”.

Un altro aspetto da non sottovalutare è la duttilità del vaso strutturato: “Sappiamo bene come il pesco sia fra le specie più facili da gestire, ma lo stesso non si può dire per susino e albicocco, che, invece, si adattano molto a bene a questo sistema”, conclude Cembali. 

L’upgrade verso il vaso strutturato dimostra come il know how di una realtà affermata come Agrintesa possa in qualche modo sopperire alle lacune della ricerca pubblica: “La valutazione e validazione di nuovi modelli di impianto è sempre stato al centro dello sviluppo tecnologico della moderna frutticoltura; in Emilia-Romagna, studiosi e tecnici si sono sempre occupati, confrontati e, persino, scontrati su questi aspetti. Negli ultimi anni questi aspetti tecnico-agronomici sono caduti in secondo piano” – argomenta Ugo Palara, direttore tecnico di Agrintesa, che aggiunge: “l’innovazione deve fornire soluzioni ai problemi dei frutticoltori e, fin dove possibile, cerchiamo di svilupparla direttamente, come nel caso del vaso strutturato; non ci vogliamo sostituire ai ricercatori, ma ci piacerebbe una loro maggiore collaborazione e disponibilità”. (gc)

Per le immagini, credit: Gianluca Cembali (Agrintesa)

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