La nuova frontiera della birra con frutta e bacche

La nuova frontiera della birra con frutta e bacche
Lampone, mango, kiwi, pompelmo, albicocca, pesca, ciliegie, arance, uva passa, sambuco, mirto, fico d’india… Non è la ricetta per una macedonia multivitaminica, ma una breve lista della frutta che i mastri birrai usano per creare le fruit beer, le birre tipiche dell’estate.
La genesi di queste birre si perde nella storia. Non sappiamo di preciso in quale parte del Mediterraneo, del vicino Oriente o del Nord Europa, e in quale momento sia avvenuto per la prima volta il match tra malto, luppolo, lievito e frutta, ma possiamo di certo individuare quelle che storicamente sono state le culture che meglio l’hanno realizzato e perfezionato: dal Belgio con le sue fermentazioni spontanee, alla Germania con le birre “addizionate” di sciroppi e succhi, agli Usa con la corrente delle “wild beer” alla frutta, alle IPA aromatizzate per infusione. Per fare chiarezza nel mondo delle fruit beer, con Lorenzo Bossi di Quality Beer Academy, abbiamo realizzato una triplice suddivisione delle generiche “fruit beer”, in base al metodo di utilizzo della frutta, ovvero: in sciroppo o succo gassato, in purea in fermentazione e in bacche o bucce in infusione.



Le Radler tedesche e l’invenzione della Fanta. Fu a Berlino nei primi anni Venti del ‘900 che in una taverna di Monaco di Baviera un oste miscelò per la prima volta la sua birra con della limonata, per dissetare una flotta di ciclisti. Radler vuol dire “ciclista”, e da allora è diventata la bevanda simbolo dell’estate in Germania, tanto da essere poi prodotta su larga scala in varie versioni, con gassosa e succo di limone, di arancia, di pompelmo. Poco più su, a Berlino, troviamo le Berlinerweisse, tipiche birre di frumento “tagliate” con sciroppi di ciliegia, asperula e lampone per attenuarne l’acidità e renderle più gentili. Fu proprio in Germania, negli anni 40, che, durante l’embargo della Coca-Cola voluto da Hitler, sulla scia della tradizione monegasca, nacque la Fanta nello stabilimento tedesco della multinazionale.
Le fermentazioni fiamminghe e le “selvagge” americane. La tradizione brassicola belga è patrimonio dell’Unesco, non stupisce quindi trovare tra le valli fiamminghe alcuni dei più riusciti esperimenti di birra alla frutta, le Kriek e le Framboise. Queste due Lambic acide a fermentazione spontanea vedono l’aggiunta di ciliegie (Kriek) e lamponi (Framboise) al naturale. Questo per far sviluppare le importantissime fermentazioni spontanee, grazie anche ai lieviti e ai batteri presenti nella frutta e per donare alle “difficili” birre acide, delle piacevoli note fruttate. 



In Belgio questa produzione è tutelata dalla denominazione STG “Specialità Tradizionale Garantita”. Dall’altra parte dell’Oceano, negli Stati Uniti, troviamo la patria delle Wild Ales, birre a fermentazione mista con aggiunta di frutta, spesso in purea, esplose agli inizi degli anni 2000, sulla scia della Craft Beer Revolution, quando i mastri birrai americani hanno iniziato a sperimentare a tutto tondo. Qui si utilizza davvero qualsiasi frutto: polpe di papaya, mango, kiwi, pesca, albicocca, fichi d’india vengono inserite in fase di fermentazione nella cosiddetta “birra verde”, e imprimono alla bevanda dei netti sentori fruttati. Uno stile tutto italiano, quelle delle IGA, le Italian Grape Ale, vede proprio l’utilizzo della frutta, in questo caso l’uva (in polpa o in mosto) per la creazione delle tipiche birre “avvinazzate” nazionali. Le IPA e la frutta infusa. Abbandoniamo le fermentazioni ed entriamo nel delicato mondo delle infusioni: qui troviamo le IPA, acronimo di Indian Pale Ale, tradizione brassicola di origine inglese, caratterizzata da un’importante presenza di luppolo nella ricetta, che spesso, per compensare o bilanciare, prevede l’inserimento di elementi fruttati nella fase finale della lavorazione, ovvero in infusione o dry hopping. Qui la polpa lascia spazio alla buccia, spesso di agrumi, fresca, ricca di oli essenziali, viene inserita libera o avvolta in panni/garza di lino o di cotone e lasciata infondere nella birra per tempi variabili. Il risultato sono delle birre estremamente fresche, luppolate, fruttate e armoniche, perfette per una bevuta dissetante nella calura estiva.
L'Italia: limoni di Sorrento e Zibibbo. L’Italia vanta una valida produzione di Fruit Beer di varie tipologie: si va dalla Syrentum infusa con bucce fresche di limoni di Sorrento dell’omonimo birrificio campano, alla Figu Morisca realizzata dal Birrificio di Cagliari con polpa di fico d’india. Ottimo il lavoro sulle fermentazioni realizzato da Ca del Brado con le sue Wild alle ciliegie di Vignola, pesche, albicocche e kiwi e le IGA al Grechetto Gentile e Centesimino di Faenza. Altro valido lavoro viene dalla Sicilia, dove il birrificio Irias realizza Al Zabir e Ambra, rispettivamente con uva Zibibbo e con scorze di arancia. Finiamo nel Lazio dove troviamo le fruit beer dal gusto pop del birrificio Rebel’s che ha unito la polpa di mango e pesca col lattosio in una Milkshake IPA da bere al tramonto sotto l’ombrellone.

Fonte: La Repubblica