«Ortofrutta, servono messaggi chiari»

Laudani (Freshfel): «Solo così si può parlare ai giovani. Regolare l’import»

«Ortofrutta, servono messaggi chiari»
“Dobbiamo unire le forze per far sì che i giovani siano sempre più attratti dall’ortofrutta. Attualmente rappresentano il segmento che ne consuma meno rispetto alla media, non raggiungendo i 400 grammi di frutta al giorno raccomandati dall’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità. Questo fa di loro un target da attenzionare e recuperare”.

Salvo Laudani, marketing manager di Oranfrizer, Gruppo Unifrutti, è presidente di Freshfel da un mese e ha le idee ben chiare su quali siano i temi cardine che devono affrontare oggi non solo l’associazione europea di cui è a capo, ma anche le aziende del settore. Dall’intervento della politica per far sopravvivere le aziende ai giovani come consumatori del presente e soprattutto del futuro, fino ad una riduzione delle differenze nelle regole di import ed export. Sono diversi i temi toccati nella sua prima intervista da presidente e rilasciata a IFN.

Laudani, tra gli obiettivi di Freshfel c’è lo stimolo dei consumi. Un tema che le sta particolarmente a cuore sono i giovani. Quali sono le strategie previste per invogliarli ad acquistare ortofrutta?

Mi è molto caro come tema perché rappresenta una criticità importante. Basta osservare i dati Eurostat che ci dicono che ben il 33% degli over quindicenni non consuma completamente né frutta, né verdura. È incredibile! E in otto anni, dal 2014, la situazione non è cambiata, perché allora i non eaters erano il 34%. Per invertire la rotta Freshfel è partner di alcune attività già in corso. Mi riferisco al progetto triennale lanciato ad aprile in Francia da Interfel. Si tratta di una campagna di comunicazione che ha al centro un video in cui viene trattato il tema delle diverse fisicità (clicca qui per vederlo). Una chiave interessante, con un linguaggio fresco, che rende l’ortofrutta un prodotto moderno, pienamente integrato nella società di oggi, al passo con i tempi, che meglio permette di avvicinare i millennial. Stiamo stimolando le varie organizzazioni interprofessionali dei diversi Paesi per valorizzare meglio il prodotto ortofrutticolo fresco europeo sperando che nascano altre attività simili. È importante collegare questo discorso alla sostenibilità ambientale, molto cara soprattutto ad una platea più giovane. Per questo l’organizzazione ha bisogno che le imprese lancino messaggi chiari per far comprendere quanto il fresh produce sia salutare e rispettoso dell’ambiente.



La sostenibilità ambientale è rilevante, ma dallo scoppio della guerra in Ucraina sono anche altri i temi che affliggono l’Europa. Ci riferiamo ai flussi commerciali. Come sono cambiati da febbraio?

Le merci che prima arrivavano regolarmente in Russia e Ucraina si sono spostate verso altre direzioni europee, andando ad ingolfare il mercato comunitario. Il periodo è molto difficile. L’ortofrutta soffre per i costi elevati collegati alle conseguenze della guerra. Per le aziende significano aumenti dell’energia, che impattano anche su packaging e logistica; per le famiglie un minore potere di acquisto che determina consumi ancora più fiacchi. Per questo dobbiamo insistere perché si aprano altri mercati, per compensare il dirottamento di merci che ora affollano l’Europa. 

I mercati lontani stanno quindi diventando sempre più appetibili?

Sì, per quanto riguarda prodotti con elevata shelf life che possono permettersi di affrontare lunghi viaggi. Sotto questo punto di vista ogni mercato nuovo che si apre è una boccata di ossigeno a cui non possiamo rinunciare. 



Alla luce degli aumenti dei costi produttivi, sulla lunga distanza quali possono essere le conseguenze per l’export italiano?

È chiaro che il balzo dei costi comporta difficoltà di posizionamento sui mercati. Compreso quello interno. C’è infatti la necessità di intervenire attraverso una politica di sostentamento che supporti le aziende nell’affrontare questo periodo di difficoltà. 

Per quanto riguarda le politiche di import-export, l’Unione Europea è molto esigente con i suoi operatori, mentre si direbbe di manica più larga sul prodotto importato. Come si possono ridurre queste discrepanze?

Abbiamo sempre sostenuto il tema della reciprocità. Qualche segnale di equilibrio in questa direzione c’è già. Chi vuole esportare arance dal Sudafrica in Europa, da quest’anno, dovrà rispettare nuove regole. È di recente approvazione, infatti, l’introduzione del Cold Treatment per prevenire la diffusione della FCM (Thaumatotibia Leucotreta). Ricordo che il così detto trattamento a freddo è imposto alle ns arance quando devono essere esportate nei paesi terzi.

È anche vero che un nostro grande competitor come la Spagna può esportare in piazze precluse all’Italia. Si potrà riuscire a ragionare in un’ottica europea su questo fronte?  

La Spagna riesce a fare accordi che sono frutto della propria iniziativa. La prospettiva futura dovrebbe essere quella di far muovere direttamente l’Europa e non i singoli stati membri nei negoziati per l’apertura di nuovi mercati, perché dopo questo conflitto russo-ucraino la politica ed i cittadini vedono sempre più nell’istituzione europea un ombrello per realizzare meglio i propri interessi. In passato capitava di sentire qualche politico che si lamentava per l’eccessivo potere, secondo lui, della Commissione; ora non più. Si è compreso quanto l’Europa sia indispensabile per lavorare in modo più consistente in tutti gli scenari internazionali.



La strategia Farm to Fork è uno degli elementi chiave per raggiungere la neutralità climatica e prevede la riduzione del 50% dell’uso degli agrofarmaci. Quanto è raggiungibile questo traguardo secondo lei considerando la crisi energetica degli ultimi mesi?

Il rischio che le conseguenze del conflitto vadano ad impattare sugli obiettivi prefissati c’è. Per esempio, sul rilascio di anidride carbonica per effetto della necessità di tornare all’uso del carbone. Anche l’obiettivo fissato per il biologico di raggiungere entro il 2030 il 25% dei suoli europei coltivati è alquanto impegnativo. E la riduzione dei fitofarmaci deve andare di pari passo con quella delle fitopatie da sconfiggere. Mi pare, in tal senso,  che i buoni esempi non manchino, come l’agricoltura integrata, già in voga alla fine degli anni ’80 nel nostro Paese, che ha cambiato i protocolli in campo di gestione fitosanitaria.
Il vero obiettivo è quello di considerare l’ambiente come risorsa delle risorse, quindi da tutelare il più possibile. In fin dei conti, bisogna che uomo e natura tornino ad interagire con maggiore armonia, come circa 800 anni fa ci ha insegnato San Francesco.

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