Carciofo di Lucera, come salvarlo dall'estinzione

Carciofo di Lucera, come salvarlo dall'estinzione
Un altro importante risultato del progetto BiodiverSO: la rivista Horticulturae ha pubblicato i risultati su recupero, caratterizzazione e conservazione del ‘Carciofo di Lucera’, antica risorsa genetica a rischio di estinzione. 
Le attività che i ricercatori dell’università e del Cnr di Bari hanno sviluppato sono otto: 1. Storia (acquisizione di informazioni attraverso un accurato lavoro di indagine bibliografica e territoriale); 2. Recupero (ricerca e raccolta di materiale per la propagazione agamica della varietà locale); 3. Conservazione ex situ; 4. Caratterizzazione (morfologica e genetica, compresa quella agronomico-produttiva); 5. Risanamento fitosanitario e registrazione; 6. Banche dati; 7. Redazione di schede descrittive; 8. Conservazione in situ.

Sono state recuperare tre popolazioni di ‘Carciofo di Lucera’ coltivate da pochi contadini, ubicate nell'agro del comune di Lucera. I capolini principali hanno forma ovoidale, con apice piano e brattee esterne violette con sfumature verdi e una spina appena accennata.
Durante il recupero della risorsa dal campo, sono state raccolte diverse informazioni che hanno permesso di retrodatare la coltivazione del carciofo in Puglia di circa 200 anni. Finora si è sempre ritenuto che la coltivazione del carciofo si sia diffusa dall’Italia Meridionale verso quella Settentrionale. Le fonti storiche attribuiscono agli spagnoli, i quali verso la seconda metà del Quattrocento controllavano Napoli e la Sicilia, l’introduzione di questa specie. In questa pubblicazione viene formulata un’ipotesi diversa: non gli spagnoli, ma i saraceni sarebbero stati gli artefici di tale introduzione.
La presenza del carciofo a Lucera fin dall'antichità è confermata anche nelle opere architettoniche, come si evince dal bassorilievo posto sull'architrave di una residenza nobiliare denominata “Palazzo Lombardi” (XVIII sec.), che potrebbe derivare dal riuso di materiali architettonici provenienti dalla fortezza svevo-angioina del XIII secolo situata a Lucera (Fig. 1).
 

Ingresso del “Palazzo Lombardi” (XVIII sec.) a Lucera. Nella parte superiore della figura è riprodotto il particolare dell'architrave con un mazzetto di carciofi

Grazie alla caratterizzazione molecolare basata su 17 marcatori Ssr (simple sequence repeats) negli stessi loci precedentemente ottenuti in 11 varietà di carciofo rappresentanti i principali gruppi morfo-agronomici, il ‘Carciofo di Lucera’ è da ascrivere al tipo ‘Romanesco’ (fig. 2). 
 

Dendrogramma basato su marcatori SSR in alcune varietà autoctone di carciofo. CdL: Carciofo di Lucera. I numeri sopra i rami indicano la significatività statistica

Tutte le informazioni raccolte nel database hanno prodotto una scheda tecnica che sarà utilizzata dai tecnici regionali per destinare finanziamenti agli “agricoltori custodi” e, eventualmente, per mantenere tale risorsa nel suo sito di coltivazione originario per la conservazione in situ. Inoltre, l’attività di risanamento mediante micropropagazione e termoterapia ha consentito di avere piante madri dalle quali poter ottenere carducci sani per la propagazione agamica.
Oggi il “Carciofo di Lucera” viene coltivato in orti di ridotte dimensioni da pochissimi agricoltori anziani o pensionati e, forse per questo motivo, le pratiche agronomiche sono spesso manuali con modesti input e macchine operatici.
Sulla base di queste risultanze, sarà fondamentale il ruolo degli enti locali per conservare questa risorsa vegetale e, perché no, per renderla protagonista di un itinerario di agrobiodiversità e di promozione culturale nella città di Lucera

Fonte: Università di Bari, progetto di ricerca BiodiverSO