Dal campo
Solarizzazione del suolo, la tecnica green che fa la differenza in ortofrutta
Riduce patogeni e infestanti senza ricorrere ai fitofarmaci

Fra le tecniche agronomiche che stanno guadagnando spazio tra le aziende ortofrutticole, la solarizzazione del terreno è senza dubbio una delle più interessanti. Non si tratta di una novità assoluta, ma oggi — complice la necessità di ridurre input chimici e i costi di produzione — sta vivendo una seconda giovinezza. E il motivo è semplice: funziona, è sostenibile e porta benefici concreti alle colture. La pratica è nota: terreno ben irrigato, film di polietilene trasparente e tanta, tantissima energia solare. Nei mesi più caldi, l’effetto serra che si crea sotto la plastica permette al suolo di raggiungere temperature superiori ai 45 °C, letali per molti patogeni e semi di infestanti. Una “disinfezione naturale” che sta convincendo sempre più produttori.
E i dati lo confermano. In America Centrale, prove in campo mostrano che nove settimane di solarizzazione possono eliminare fino al 90% dei tuberi di Cyperus rotundus, una delle infestanti più aggressive per ortaggi e cucurbitacee. Non solo: già dopo due settimane, nelle prove su peperoni, i ricercatori hanno registrato piante più alte, più sviluppate e con un migliore attecchimento.

Ma gli effetti più evidenti si osservano sulle rese. Nel pomodoro, ad esempio, gli studi dell’USDA in California – come riporta Portalfruticola.com - parlano di incrementi produttivi superiori al 35%. Un dato che ha contribuito alla diffusione della tecnica nei distretti orticoli intensivi. In Ecuador, l’abbinamento tra solarizzazione e biofumigazione ha portato al controllo totale dei nematodi Xiphinema e a una riduzione del 95% dei Meloidogyne, tra le principali cause di calo di vigore nelle solanacee.
Ottimi riscontri anche nelle baby leaf: rucola e valeriana coltivate in terreni solarizzati mostrano rese più alte, foglie più uniformi e minore incidenza di marciumi da Sclerotinia. E il comparto fragola non è da meno. Studi recenti indicano un aumento della disponibilità di nutrienti nel terreno — in particolare azoto, potassio e magnesio — con effetti immediati sul numero di frutti per pianta e sulla qualità delle produzioni. Il valore aggiunto della solarizzazione, infatti, non si limita al controllo dei patogeni. Le alte temperature accelerano i processi di mineralizzazione della sostanza organica, rendendo più disponibili nutrienti chiave per lo sviluppo radicale. Il risultato è un terreno più fertile e colture più vigorose nelle settimane successive al trattamento.
Dal punto di vista operativo, la tecnica richiede attenzione ma non presenta grandi difficoltà. Il periodo ideale va da giugno ad agosto, sfruttando la massima radiazione solare. È fondamentale mantenere il terreno umido prima della posa del telo e utilizzare film trasparenti resistenti ai raggi UV, con spessore tra 25 e 50 micron. I bordi vanno interrati per garantire un ambiente chiuso, condizione indispensabile per ottenere il massimo accumulo termico. La solarizzazione offre quindi una strada concreta per ridurre l’uso di fitofarmaci e contenere i costi, migliorando al tempo stesso la sanità del suolo. Una tecnica “verde”, a basso costo e perfettamente allineata con le richieste del mercato. E mentre cresce la domanda di produzioni più sostenibili, sono sempre più le aziende ortofrutticole che la stanno riscoprendo come alleata strategica per aumentare rese e qualità.
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