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Packaging e biologico guidano la sostenibilità nelle banane
Scala prezzi molto ampia, dallo 0,99 a sopra i 4 €/kg
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Le banane rappresentano il principale esempio nel reparto ortofrutta di come la provenienza possa essere un driver di acquisto anche se non è nazionale. È evidente che l’impossibilità di produrre banane sul nostro territorio– considerando il caso siciliano trascurabile in termini di dimensione produttiva – ha “educato” i consumatori ad accettare questi pratici e gustosi frutti, da altre origini, malgrado i lunghi trasporti. Anzi, ha spinto gli attori della filiera a puntare su altri elementi sempre legati alla sostenibilità, come il packaging e il metodo di coltivazione.
Questo scenario suggerisce che anche prodotti analoghi – definiti esotici o tropicali (pur con differenze tecniche tra le due accezioni) – come ananas, avocado, mango, papaya e simili, possano registrare una crescita costante in termini di penetrazione e vendite, proporzionale all’apprezzamento legato sia al gusto che alla praticità da parte del consumatore.
Concentriamoci ora sul frutto esotico ormai divenuto imprescindibile nella spesa degli italiani, con una penetrazione annuale superiore all’85% delle famiglie italiane. Stiamo parlano, ovviamente, delle banane, di cui approfondiremo il modo in cui vengono gestite – sia in termini di assortimento che di spazi espositivi – in un campione di sei punti vendita, appartenenti ad altrettante insegne, nella piazza di Reggio Emilia a inizio febbraio, secondo una delle consuete indagini del Monitor Ortofrutta di Agroter per Italiafruit News.
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Partiamo, come sempre, dalle numeriche, suddivise tra prodotto sfuso e confezionato. Rispetto ad altre categorie rilevanti nel reparto ortofrutta, come le mele, il numero medio di referenze rilevato è decisamente più contenuto: nel negozio più grande si arriva a un massimo di 6 referenze, mentre la media si attesta tra 3 e 4, arrivando al minimo di 2 in Eurospin. Il prodotto sfuso rappresenta un terzo degli assortimenti e, nella maggior parte dei casi, viene offerto con una sola referenza.
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Anche in termini di spazi espositivi, le banane registrano valori ben inferiori rispetto ad altre categorie principali del reparto, come mele o anche arance, clementine e uva in piena stagionalità. La limitata numerica di referenze spinge infatti i distributori a contenere gli spazi, nonostante le elevate rotazioni. Nel caso delle banane, questa tendenza si accentua ulteriormente a causa dell’elevato sfrido, soprattutto per il prodotto sfuso. Il dato del 51% di spazio assegnato allo sfuso può risultare fuorviante, suggerendo una sovraesposizione se confrontato con il 31% relativo al confezionato.
In realtà, il prodotto sfuso, in certi casi, viene esposto su supporti ad hoc, come scivoli a “onda” o “appendi banane” (nel caso isolato di Esselunga), pensati per evitare massificazione e contatti tra i frutti. Tuttavia, è frequente una esposizione del prodotto sfuso direttamente dentro i cartoni, cosa che può incidere sull’integrità dei frutti se non c’è sufficiente rotazione.
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Per quanto riguarda le confezioni, le opzioni riscontrate sono piuttosto limitate: domina il vassoio in cartone avvolto in cellophane, adottato in tutti i negozi analizzati e in 5 su 6 con almeno due referenze. Fino a qualche anno fa era molto frequente anche il vassoio in pvc (un materiale utilizzato ancora oggi in talune realtà distributive), ma il così ampio impiego del cartone rilevato nei sei negozi suggerisce che, in una categoria composta al 100% da prodotto estero, si voglia puntare su elementi capaci di trasmettere al cliente rassicurazione in termini di sostenibilità, pur senza approfondimenti tecnici di dettaglio.
Nel caso del prodotto sfuso, in realtà da considerare una via di mezzo tra sfuso e confezionato, emergono due casi particolari di referenze "nastrate", ovvero mani intere di banane avvolte in un nastro riportante il marchio del fornitore, mentre in Esselunga una fascetta peso prezzata serra una mano di banane negli appendi banane. Questa scelta limita l’impiego di imballaggi aggiuntivi, ma incentiva il cliente ad acquistare l’intera mano, evitando di separare i singoli frutti, una pratica che - altrimenti - potrebbe contribuire a rovinare il prodotto e a creare un’esposizione disordinata.
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Passando ai brand, prevale la MDD (45% delle referenze rilevate) che risulta presente in 5 negozi su 6, a esclusione di Lidl, ma si attesta anche una buona presenza di marchi del fornitore (36%), lasciando una quota inferiore al 20% alle banane unbranded.
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Oltre all’utilizzo del pack, la sostenibilità nelle banane scende in campo anche declinata nel metodo di coltivazione, soprattutto per gli elementi ambientali e sociali. Il 45% delle referenze presenti, infatti, erano biologiche o solidali-biologiche. La prestazione della banana bio è immancabile negli assortimenti dei sei negozi, discount compresi, e la maggior parte di queste referenze (7 su 10) sono vendute a Marca del Distributore (MDD bio).
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Chiudiamo con la consueta analisi dei prezzi, che evidenzia una media aritmetica complessiva di 2,40 €/kg, inferiore rispetto al prezzo medio ponderato della frutta nel 2024, pari a 2,55 €/kg.
Analizzando le diverse categorie – sfuso, confezionato e biologico – emerge che i prezzi più bassi si riscontrano nel prodotto convenzionale sfuso, come prevedibile, con un minimo che scende sotto l’euro per le referenze unbranded.
Tra i prodotti sfusi, l’unica opzione biologica rilevata raggiunge i 4 €/kg, mentre nel confezionato il differenziale medio tra bio e convenzionale è di 80 centesimi (1,99 €/kg contro 1,19 €/kg).
I prezzi più alti nel confezionato si registrano per i prodotti a marchio del fornitore, che arrivano a 2,99 €/kg per il convenzionale e a 4,40 €/kg per il biologico. Si delinea così una chiara segmentazione dei prezzi, che va dal prodotto sfuso, spesso unbranded e più economico, fino ai prodotti biologici confezionati, che raggiungono i livelli di prezzo più elevati.
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Ha collaborato Giampaolo Ferri (gc)
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