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Morìa del kiwi: tutto passa dall’apparato radicale
Alla giornata tecnica SOI in evidenza l’importanza di gestire bene il suolo
“Quale futuro per il kiwi?” una domanda che attanaglia diversi produttori alle prese con la Morìa lungo tutto la Penisola, domanda a cui si è cercato di dare una risposta durante la giornata tecnica, organizzata dal gruppo di lavoro kiwi della Società di ortoflorofrutticoltura (SOI), che si è tenuta presso la sede della Fondazione Agrion a Manta (Cuneo).
Un evento che ha visto una grande partecipazione da parte del mondo produttivo piemontese che è stato uno dei più colpiti da quando la Morìa è stata segnalata per la prima volta nel 2018.
“Nel 2010 abbiamo raggiunto il picco produttivo con il kiwi in Piemonte con oltre 5400 ettari – evidenzia Lorenzo Berra della Fondazione Agrion – e sembrava la coltura perfetta per questo territorio: pochi trattamenti e ottime rese produttive. Poi la batteriosi ha provocato l’estirpazione di oltre un migliaio di ettari; appena siamo riusciti a controllarla, ecco che si palesa un nemico ancora più insidioso come la Morìa, che, fino al 2023, ha provocato l’ulteriore espianto di un migliaio di ettari, aggiornando così il conteggio a 3.100 ettari. Abbiamo quindi toccato il fondo ma, all’orizzonte, dopo anni di ricerca, iniziamo a scorgere segnali che ci fanno ben sperare”.
La complessità di questa fisiopatia è causata da una moltitudine di fattori che concorrono al suo sviluppo, tant’è che viene definita una sindrome multifattoriale, come ha ricordato Luca Nari della Fondazione Agrion: “Innanzitutto, il clima sempre più estremo, a partire dai picchi termici estivi e dagli intensi eventi pluviometrici sempre più frequenti, ha accelerato le problematiche già in atto a livello di suolo, pianta e microrganismi patogeni, senza dimenticare il ruolo determinato dall’adozione di alcune pratiche agronomiche scorrette, in primis gli eccessi irrigui”.
“Dopo diversi anni di sperimentazioni e ricerche approfondite abbiamo compreso quali tecniche adottare per cercare di prevenire la Morìa, perché eradicarla, una volta che ha colpito un impianto di kiwi, è particolarmente complicato. È evidente l’importanza di gestire il suolo al meglio, mantenendone una buona struttura e verificando il contenuto di sostanza organica, in modo che le radici possano prosperare. Parimenti, è decisivo modulare l’irrigazione in base alla reale necessità della pianta, avendo l’accortezza di mantenere una superficie di bagnatura più ampia possibile, condizione necessaria per evitare la saturazione delle medesime porzioni di suolo nel corso della stagione irrigua, saturazione che può favorire lo sviluppo di microorganismi idroofili, quali gli oomiceti. Infine, non è da sottovalutare l’utilizzo di schermature ombreggianti e di altre forme di mitigazione – come l’irrigazione climatizzante – che possono ridurre le temperature durante il periodo estivo”.
In ogni caso, per una corretta comprensione della fisiopatia è fondamentale focalizzarsi fin da subito sulle radici, come ha spiegato il professore Bartolomeo Dichio, docente dell’Università della Basilicata: “La pianta d’actinidia è per definizione poco resiliente e mal si adatta alle condizioni avverse, in particolare, carenze ed eccessi idrici. Questi due fenomeni presentano gli stessi sintomi e possono comparire entrambi durante la stagione vegetativa, per cui si corre il rischio di confonderli. La priorità, in impianti con sintomi di Morìa del kiwi, è fare una diagnosi precoce valutando lo stato di salute delle radici con uno scavo a trincea; quindi, non ci si deve limitare ad una analisi superficiale, ma occorre comprendere in che condizioni si trova l’apparato radicale – e il suolo – a quasi un metro di profondità. Solitamente quando la malattia prolifera si trova un terreno destrutturato e asfittico, dove le radici sono destinate, prima o poi, a collassare”.
“L’eccesso idrico è la causa principale di questa destrutturazione del suolo che provoca la Morìa – ha specificato il Professore – è essenziale, quindi, irrigare con precisione e garantire lo sgrondo delle acque in eccesso, mantenendo una buona struttura del terreno, grazie, soprattutto, ad un miglioramento del contenuto in sostanza organica. Così facendo si può evitare – che è l’obiettivo principale – o recuperare situazioni di Moria in primo luogo se i sintomi sono ancora lievi”.(gc)