Dal campo
Lavoro nei frutteti: la crisi è strutturale
Il gruppo Minguzzi denuncia: senza manodopera qualificata, la qualità è a rischio

Nel cuore della Romagna, tra le province di Ravenna e Bologna, il Gruppo Minguzzi gestisce circa 500 ettari di frutteti ad alta specializzazione. Qui, varietà a club come Pink Lady e Metis sono il risultato di anni di investimenti in ricerca, qualità e sperimentazione. Ma oggi, a preoccupare non è la tecnica colturale: è la cronica carenza di manodopera agricola qualificata. «Dalla potatura alla raccolta impieghiamo 70-80 persone, ma non troviamo più lavoratori formati», denuncia Anna Maria Minguzzi, imprenditrice alla guida del gruppo in un articolo, a firma di Barbara Bertuzzi, pubblicato nel quinto numero del mensile "Mondo Agricolo" di Confagricoltura. Il peso della formazione ricade interamente sulle spalle delle aziende, che devono formare personale spesso alla prima esperienza in un frutteto. «Oggi l’80% dei nostri operai stagionali arriva da Paesi extra-UE come Pakistan e Bangladesh. Molti di loro non parlano italiano e non hanno mai visto un frutteto prima di entrare nei nostri campi».
Il fenomeno non è nuovo, ma si è accentuato negli ultimi anni. Se un tempo la manodopera arrivava in gran parte da Polonia, Romania e Moldavia, oggi quei flussi si sono ridotti drasticamente. «I lavoratori dell’Est Europa si sono spostati verso altri Paesi, dove i salari sono più alti. Ora dobbiamo ricominciare ogni anno da capo, e spesso dopo averli formati, i nuovi arrivati se ne vanno a lavorare in Riviera o fanno i rider», racconta Minguzzi.

C’è però un modello virtuoso che sta dando risultati: quello degli accordi bilaterali con Senegal e Marocco, che prevedono corsi di lingua e formazione agricola nei Paesi d’origine, grazie anche al supporto di alcune onlus. «In questo modo, i lavoratori arrivano già con una base utile per integrarsi e lavorare con più efficacia».
Ma l’emergenza non riguarda solo la manodopera straniera. «Abbiamo solo due italiani in azienda. Abbiamo provato a coinvolgere studenti degli istituti agrari, ma la maggior parte, a fine studi, cerca impiego altrove». Anche il ricorso alle agenzie interinali delude: «Costano molto e spesso propongono personale poco preparato. La frutticoltura richiede competenza: dalla potatura alla raccolta delle drupacee, non si può improvvisare».
Sul fronte tecnologico, l’agricoltura di precisione avanza, ma la meccanizzazione nella frutta è ancora lontana. «Non siamo pronti per sostituire la manodopera con le macchine, non in questo settore», precisa l’imprenditrice. Le richieste al governo sono chiare: taglio del cuneo fiscale, sgravi contributivi e un decreto Flussi più accessibile. «Solo alleggerendo i costi per le imprese possiamo pensare di aumentare i salari e migliorare l’attrattività del comparto, che oggi offre un ambiente di lavoro più sicuro e moderno rispetto al passato». (aa)



















